APPESI A UN FILO…

nuovo report sul settore tessile e calzaturiero
By Marta Rossi
Pubblicato il 2 Aprile 2015

Il quadro che viene fuori dalla ricerca realizzata in tre regioni italiane è drammatico, sia per la produzione che per gli stipendi. Le donne e gli immigrati svolgono le mansioni più ripetitive e semplici, mentre gli uomini sono collocati nei servizi, nella progettazione, nel taglio delle pelli e nel montaggio della calzatura. Tutti abbiamo memoria di quel terribile rogo di due anni fa, quando a Prato, nel distretto tessile della città tra le fiamme di una fabbrica di abbigliamento low cost cinese, persero la vita sette persone. Sette tra operai e operaie che vivevano in condizioni disumane, dormendo negli stessi capannoni che ospitavano le macchine per produrre l’abbigliamento e alimentare l’economia sommersa. Ma lo sfruttamento del lavoro nel ramo tessile – una delle eccellenze del made in Italy – non riguarda soltanto la manodopera straniera. Anzi. La sezione italiana di Clean Clothes campaign, che opera per il miglioramento delle condizioni di lavoro e il rafforzamento dei diritti dei lavoratori nell’industria tessile globale attraverso la sensibilizzazione e la mobilitazione dei consumatori, la pressione verso le imprese e i governi, ha lanciato una campagna, Abiti puliti e ha realizzato il dossier Quanto è vivibile l’abbigliamento in Italia? per fotografare la realtà dei distretti del manifatturiero con dati e racconti degli operai. Finora abbiamo immaginato gli operai chini sulle macchine da cucire come i disperati sfruttati dalle multinazionali in Cina, in Romania o in Moldavia. Ora, però, ci accorgiamo che quei disperati potremmo essere anche noi.

Le tre aree interessate dalla ricerca sono la Toscana, il Veneto e la Campania, e al loro interno sono state prese in esame tre aree produttive: il distretto calzaturiero della Rivera del Brenta (Veneto), le filiere del tessile-abbigliamento di Prato, pelletteria di Firenze e calzature di Valdinievole in provincia di Pistoia e il sistema moda della provincia di Napoli. Cuori pulsanti del made in Italy, dove sorgono gli stabilimenti di parte della produzione delle grandi case di moda.

Il quadro, sia per la produzione che per gli stipendi è drammatico. Le donne e gli immigrati svolgono le mansioni più ripetitive e semplici, mentre gli uomini sono collocati nei servizi, nella progettazione, nel taglio delle pelli e nel montaggio della calzatura. La figura più remunerata è il modellista che realizza un prototipo partendo dal modello dello stilista. Nel distretto della Riviera, si hanno per lo più contratti a tempo indeterminato ma ci sono anche circa 400 lavoranti a domicilio, soprattutto impiegate per le operazioni di orlatura e taglio. Attual-mente, il 20% della forza lavoro è immigrata, di cui la metà cinese impiegata nelle imprese di connazionali. Le imprese di lusso, negli ultimi anni, stanno utilizzando le agenzie interinali per assumere, come spiega un operaio bangladese del settore calzaturiero: “Lavoro da sette anni, ho iniziato con un’agenzia interinale. Ho fatto quasi tre mesi, poi ho fatto l’apprendista a tempo indeterminato. E poi mi hanno assunto come operaio”. L’operazione dell’agenzia interinale, però, è anche un modo per pagare meno contributi, sfruttando le detrazioni possibili con l’apprendistato: “Ho fatto uno stage di prova per un mese e poi mi hanno assunto come apprendista a tempo determinato – racconta una modellista – cinque anni, il massimo che potevano fare. Logicamente pagano meno contributi: sono partita da 900 euro, poi ho maturato il resto”. Una pratica ricorrente nella Riviera è la paga delle ore di lavoro straordinario fuori busta. In realtà, la deroga all’orario di lavoro dovrebbe essere oggetto di una contrattazione con le Rsu, ma spesso in queste aziende non c’è nemmeno la rappresentanza sindacale.

In Toscana, sia nel settore pellettiero-calzaturiero che in quello dell’abbigliamento e degli accessori è ancora usata la forma di lavoro a domicilio pagata a cottimo. Non sempre regolare. “Facevo 20-30 paia al giorno, mi pagavano in nero – racconta una lavorante a domicilio – Mi svegliavo alle sei del mattino, ero a casa e quindi potevi guardare la televisione mentre lavoravi e fino alla sera tiravi il filo. Questo per tutto il giorno, per prendere poi 500-600 euro al mese. Poi ho avuto dei dolori e ho dovuto smettere”.

La provincia di Napoli, dove è ancora caratterizzante il passaggio del posto di lavoro di padre in figlio, si contraddistingue per un alto ricorso al lavoro irregolare, soprattutto nelle imprese per conto terzi e in quelle specializzate per fase (per esempio, operazioni di orlatura per il calzaturiero, fasciatura eccetera), fino ad arrivare a imprese completamente sommerse che svolgono commesse per conto di grossisti. Vista la pratica del passaggio del posto di padre in figlio, la scolarizzazione degli operai nella provincia di Napoli è molto basso (dato condiviso anche con la Riviera). Si comincia a lavorare molto giovani e quasi sempre completamente in nero. Nelle piccole aziende per conto terzi si lavora con una specie di cottimo: si stabilisce un lasso di tempo – di solito 9-10 ore – durante il quale si deve produrre il massimo possibile. Una pratica condivisa anche con la Toscana è la compresenza in molte aziende di lavoro regolare e irregolare, con lavoratori assunti part-time ma che lavorano tutto il giorno o di dipendenti che una volta collocati in cassa integrazione sono richiamati in azienda per continuare a lavorare, oppure il prosieguo forzato dell’orario di lavoro senza essere però pagati per gli straordinari.

In Italia il livello delle retribuzioni è stabilito dalla contrattazione tra le parti sociali, in quanto non esiste un salario minimo legale. In ogni caso, la ricerca dimostra come i salari, nei livelli contrattuali più bassi non vanno oltre i 1100-1200 euro netti al mese, che se-condo un calcolo dell’Istat, nel nord Italia non bastano per tirare avanti una famiglia di quattro persone neanche se si abita in campagna. Va un po’ meglio per i modellisti, montatori o dirigenti: ma come abbiamo già visto, si tratta di una minoranza e di ruoli sempre ricoperti da uomini.

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