UN NATALE (E NON SOLO) OLTRE CONFINE…

il rapporto della fondazione Migrantes
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 2 Dicembre 2015

Oltre a quella degli immigrati c’è un’altra emergenza della quale l’Italia deve seriamente occuparsi: quella dei suoi cittadini che nell’ultimo decennio hanno ripreso a emigrare con una intensità pari a quella dell’immediato dopoguerra

Che Natale sarà per le migliaia di italiani che negli ultimi anni sono emigrati non tanto in cerca di un lavoro, ma per poter vivere dignitosamente con le loro pensioni troppo basse per condurre in patria una vita dignitosa? Ultrasessantenni o ultrasettantenni che spesso non erano mai usciti dalla propria regione, catapultati in paesi dei quali non conoscono né la lingua né le abitudini, ma nei quali riescono a sorridere dopo anni passati a centellinare le spese, a privarsi di tutto e ad affrontare l’incubo di non poter far fronte economicamente alla quarta settimana del mese. Abituati al Natale con la neve, il freddo, il calore delle tavolate assieme a parenti e amici, alla messa di mezzanotte del parroco-amico-confidente, recitata in italiano, ora avranno forse l’esotica ambientazione del mare e del bagno a dicembre, ma saranno alle prese con la liturgia in inglese, spagnolo, tedesco, francese, lingue che appena cominciano a comprendere. Forse li raggiungerà qualche figlio o nipote, nella maggior parte dei casi saranno assieme a connazionali partiti a tarda età come loro e per gli stessi motivi.

Il numero degli italiani all’estero, iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), è aumentato vertiginosamente nell’ultimo decennio: erano tre milioni nel 2006, ora superano i 4,6 milioni, un incremento del 46 per cento, dei quali circa 700mila minorenni e oltre 900mila over-65. Tra le destinazioni scelte, oltre a Germania e Gran Bretagna, ci sono Svizzera, Francia, Argentina, Spagna, Venezuela; non mancano paesi come Tunisia, Albania e Bulgaria, dove il costo della vita è molto basso. I nuovi emigranti partono un po’ da tutta Italia: se è vero che Sicilia, Campania e altre regioni del sud sono maggiormente rappresentate, è indubbio che vi sono stati aumenti considerevoli anche da Lombardia, Veneto, Friuli. Quindi, non c’è solo l’emergenza degli immigrati, che – è storia di questi giorni – riguarda molte altre nazioni europee e qualcuna in modo molto più consistente del nostro. C’è un’altra emergenza della quale l’Italia deve seriamente occuparsi: quella dei suoi cittadini che nell’ultimo decennio hanno ripreso a varcare i confini con una intensità pari a quella dell’immediato dopoguerra. I dati che emergono dall’ultimo rapporto della fondazione Migrantes indicano una situazione grave, della quale non si parla. È stato calcolato che per ogni tre italiani che vanno via, arrivi uno straniero. Un fenomeno che non riesce neppure a tamponare le “perdite” e che è simile a quello della Germania, talmente preoccupata del calo demografico (i tedeschi non hanno l’emigrazione, ma un tasso di natalità molto più basso del nostro) che accoglie a braccia aperte – o quasi – gli immigrati perché hanno bisogno di forza lavoro. Oggi nel Belpaese ci sono 5 milioni di stranieri (l’8,3 per cento del totale), la maggior parte dei quali lavora e produce 125 miliardi di euro ogni anno (l’8,6 per cento della nostra ricchezza) e con i loro contributi aiutano a pagare 620 mila pensioni per i nostri anziani, costretti a fare le valigie e ad attraversare la frontiera.

Sono queste le sfide che ci attendono: come realizzare uno stato sociale che consenta a tutti di vivere dignitosamente; come integrare gli stranieri che vedono nel nostro paese la “terra promessa”. Perché si dovrebbe fare in modo che la ricchezza prodotta dagli immigrati non venga vanificata dalla diminuzione economica causata dalle migliaia di pensioni che vengono spese all’estero. Una settantenne emigrata in Tunisia, intervistata in tv ha detto: “Sono andata via per legittima difesa, non ce la facevamo più a vivere con le pensioni così basse”. Monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della fondazione Migrantes, ritiene che “siamo di fronte a un fenomeno che chiamiamo con lo stesso nome, ma che è profondamente diverso perché diversi sono i protagonisti, pur partendo dalla medesima condizione di necessità a seguito di crisi occupazionale, recessione economica e disagio di vita”.

Se questo nuovo problema verrà risolto, probabilmente vi saranno migliaia di connazionali che preferiranno ritornare per sempre a casa e rivivere il Natale che tutti vorremmo.

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