RINASCE CAINO NELLE “INUTILI STRAGI” DEL MONDO

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 31 Agosto 2017

 

Uno fra i più importanti avvenimenti diplomatici degli ultimi anni è lo stop imposto a metà agosto dalla Cina alla Corea del Nord sul baratro di una possibile guerra nucleare. Al di là da quanto l’opinione pubblica abbia potuto percepire, con l’energia della sua mossa (l’embargo parziale al commercio nordcoreano) Pechino ha messo sul tavolo le carte di una ormai acquisita autorità internazionale, alla pari con gli Stati Uniti. Sono così rientrate, al momento, le provocazioni e le minacce missilistiche a Washington da parte di Pyongyang; a tempo indeterminato, ma con un indubbio smacco politico per il dittatore Kim Jong-un, ormai chiaramente sotto tutela cinese. Purtroppo è garanzia soltanto di non-guerra. È cioè una di quelle situazioni (anche se obiettivamente la più grave) che parlano di violenza e di morte. Da anni si trascina il conflitto – o meglio  una serie di conflitti – in Medio Oriente: si perde quasi la memoria delle varie fasi della tragedia siriana e della lotta contro il terrorismo islamista; si assiste ogni giorno all’esasperarsi del feroce confronto civile in Venezuela; giunge l’eco di scontri sanguinosi in Sudan, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Centrafrica, Filippine, Somalia. Né basta a consolarci l’isolato caso della ritrovata concordia in Colombia, anche se alimenta la speranza che possa essere imitato. Siamo testimoni di una serie di “inutili stragi”, come quella denunciata esattamente cento anni fa, il 1° agosto 1917, da Benedetto XV, nel rivolgersi ai belligeranti della Grande Guerra. L’espressione suscitò il rancore di tutte le parti in lotta (e non sempre fu compresa anche dai cattolici) ma resta nella memoria e nella gratitudine degli uomini di pace. Mentre un’altra specie di conflitto si sta svolgendo su strade di dolore percorse da milioni di persone, “la crisi umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale” ha detto papa Francesco riferendosi ai 65 milioni di rifugiati che vagano per il mondo. In circostanze di violenza, ha aggiunto, nelle quali “noi facciamo rinascere Caino”.

Il grido di dolore nasce, dopo Benedetto XV, dal cuore dei papi che lo hanno seguito e che si è espresso in vari modi. Con l’appello angosciato di Pio XII nel 1939, alla vigilia della folle avventura bellica hitleriana: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!”, causa appunto di 50 milioni di morti e di incalcolabili distruzioni materiali. Con la pensosa riflessione di Giovanni XXIII affidata all’enciclica Pacem in terris. Con l’invocazione di Paolo VI nell’ ottobre 1965 alle Nazioni Unite: “Non più la guerra”. Con la solenne proclamazione da parte della Chiesa, all’inizio di ogni anno dal 1967, di un messaggio della pace che ribadisce i valori della convivenza fra gli uomini. Con l’iniziativa della “Giornata mondiale di preghiera per la pace” presa nel 1986 ad Assisi da Giovanni Paolo II. Con Francesco che loda non i “predicatori” ma gli “operatori” di pace. Quest’estate abbiamo forse sfiorato il dramma; ma certamente la sollecitudine di molti uomini di buona volontà ha evitato il peggio. Nella speranza che altri lavorino per il meglio.

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