Ciò che suscita l’interrogativo deriva da una recente ricerca condotta dal Movimento italiano genitori e da due iniziative del ministero della Pubblica Istruzione che si sono accavallate nelle scorse settimane. Il flop del liceo Made in Italy
A volte capita di chiedersi fino a che punto le generazioni cosiddette adulte siano in grado di comprendere gli adolescenti. Poi ci si arrende sconsolati. Eppure, essendoci già passati per quella fascia di vita certamente confusionaria, ma ricca di sogni, ideali e speranze, verrebbe da pensare che basterebbe poco per immedesimarsi nei nostri figli o nipoti, riuscendo a rendere meno esteso il divario generazionale. Invece, sembra che gli sforzi siano vani, in quanto la credenza insita in chi è più avanti negli anni è quella che siano gli adolescenti a dover capire il mondo, senza aver maturato le naturali esperienze, gioie e delusioni. Ciò che suscita l’interrogativo di quanto si conoscano gli adolescenti deriva da una recente ricerca condotta dal Movimento italiano genitori (Moige), in collaborazione con l’Istituto Piepoli, e da due iniziative del ministero della Pubblica Istruzione, che si sono accavallate nelle scorse settimane. La prima apre uno squarcio sul comportamento dei giovani in età scolare; le seconde, proprio in questo periodo di scelte curricolari, hanno manifestato un distacco enorme tra le idee educative dei grandi e le esigenze di quelli che potremmo definire “i futuri noi”.
Il dato allarmante che emerge dai dati della rilevazione sulla cittadinanza digitale dei nostri figli, sull’intelligenza artificiale e cyber risk condotta dal Moige è che i minori sono sempre più presenti in rete, spesso con un proprio canale, intrecciando relazioni anche con utenti sconosciuti. La rilevazione dei dati ha coinvolto 1.788 studenti delle scuole medie (40%) e superiori (60%), sia maschi (49%) sia femmine (51%). I minori stanno diventando un popolo di (aspiranti) influencer, dove la visibilità online, il numero di follower e le interazioni con gli utenti sono la cosa più importante. In nome di questa popolarità si è disposti a tutto, e si finisce per abbassare la guardia. I dati parlano di una presenza online sempre più massiccia, con minori che aprono un proprio canale dove condividono dettagli della vita privata, foto, video e accettano richieste di amicizia da sconosciuti. Tuttavia, anche se l’88 per cento degli intervistati afferma di avere più amici nel mondo reale, più di 1 su 3 (35%) accetta le richieste di amicizia o contatto da parte di sconosciuti mentre il 20% ammette di averli incontrati anche di persona. Un comportamento a rischio, decisamente sottovalutato. L’81% ha nella rubrica del proprio smartphone contatti di diverse persone che non ha incontrato personalmente, ma con le quali ha condiviso il proprio numero telefonico. Di loro, il 14 per cento ha meno di 15 anni. Dallo studio emerge una generale fiducia nei confronti di quanto viene letto su internet. Il 42% crede che ciò che si legge online sia attendibile, ma il 52% ammette di aver creduto almeno una volta a una notizia che poi si è rivelata una fake news. Solo il 17% verifica sempre ciò che legge, dato in leggera crescita (+2%) rispetto all’anno precedente. Utilizzano invece, e parecchio (48%), l’intelligenza artificiale. Per il 57%, è uno strumento valido che potrebbe aiutarlo nello studio e nell’apprendimento, il 62% ritiene che possa aiutarlo a risolvere i problemi e il 53% crede che possa migliorare il livello generale dell’istruzione. Anche se quasi 1 su 4 ammette di essersi trovato in situazioni in cui l’intelligenza artificiale ha fornito informazioni errate o inesatte.
A fronte di questi dati dovrebbe essere chiaro che sia necessario un maggior coinvolgimento dei genitori, delle istituzioni, degli operatori tecnologici e di chi crea i contenuti per contenere i danni e gestire il fenomeno. Soprattutto per stabilire una guida affinché gli adolescenti sviluppino una maggiore e migliore consapevolezza dei rischi che si incontrano navigando in Internet. Allora, uno pensa che nei programmi scolastici vengano previste lezioni specifiche: un’ora la settimana dedicata alle nuove tecnologie, agli usi e abusi, ai consumi e agli utilizzi vari; magari aggiungendo un po’ di educazione civica. Invece, no. Le novità dei programmi scolastici ideati da governo e ministero della Pubblica Istruzione sono il liceo del Made in Italy e il cosiddetto “percorso breve”, noto come 4+2 (tipo le promozioni dei supermercati). Uno riflette e dice: ma guarda te, chi ci avrebbe mai pensato. Stai a vedere che sarà un successo. Andiamo a vedere i dati relativi alle iscrizioni per l’anno 2024-2025, scadute nelle scorse settimane: il totale delle iscrizioni alle classi prime delle scuole superiori è stato di 468.750, di cui 375 per il liceo del Made in Italy e 1.669 per gli indirizzi a percorso breve. L’unico indirizzo di studi ad aver registrato prestazioni peggiori è quello professionale per la pesca commerciale e produzioni ittiche, a cui – per il secondo anno di fila – non si è iscritto nessuno (e continuano a riproporlo). Il liceo del Made in Italy, fortemente voluto dall’attuale governo (che ha anche istituito un omonimo ministero) è piaciuto solo allo 0,08% del totale, mentre il liceo delle Scienze umane, di cui avrebbe dovuto essere un’alternativa, ha registrato 33 mila (!) iscrizioni. Poche scuole hanno deciso di attivare questo liceo: 92 sulle quasi 900 che avrebbero potuto farlo, con una media di 4 iscritti per ogni scuola. Addirittura al Nord un preside ha avuto la brillante idea di sorteggiare tra tutti gli studenti una ventina di nomi per costituire una classe. Ovviamente, ha dovuto fare marcia indietro a causa delle polemiche per l’iniziativa davvero surreale. Sorte simile è toccata anche alla cosiddetta Filiera tecnico professionale a percorso breve, con sole 1.669 iscrizioni per i 172 istituti che hanno deciso di aderire alla sperimentazione, per una media di 9 studenti e studentesse per ogni scuola!
Alla luce di tutto ciò, due pensieri si sono sviluppati d’acchito. Il primo, sul liceo. Tutti, a cominciare dai politici, ci glorifichiamo del made in Italy e citiamo come esempio la Ferrari, la Lamborghini, Gucci, Valentino, ignorando che sempre più spesso si tratta di aziende che hanno sede e maggioranze azionarie all’estero e che, fatta eccezione per i motori delle auto, producono in Paesi come India, Turchia, Pakistan, Cina (basta dare un’occhiata alle etichette). Di veramente italiano in ogni angolo del mondo è rimasta la pizza, ma le cucine dei nostri ristoranti sono ormai regno incontrastato di pizzaioli egiziani, bengalesi e cuochi cinesi e tailandesi.
Per quanto riguarda il “4+2”, l’idea dell’integrazione scuola-lavoro è buona, ma bisogna tener conto che la maggioranza di chi sceglie percorsi scolastici professionali ha scarsa inclinazione e restare per tanto tempo in classe a trastullarsi con i libri. Allora, che senso ha allungare l’agonia dagli attuali 5 ai 6 anni per un diploma? Sarebbe stato più semplice una “zona mista”, come direbbero i calciofili, di quattro anni. Pertanto, viene da rispondere che la distanza tra adolescenti – i “futuri noi” – e noi è ancora tanta.