Quei volti… ragazzini
Scrivo mentre è in corso la tendopoli al santuario di San Gabriele. Vedo alcune centinaia di giovani sereni, alternare incontri, momenti ricreativi, preghiera. Hanno il volto allegro, scherzano, ridono, cantano, sono vitali, belli, come tutti i ragazzi della loro età, e a noi un po’ in là con gli anni, non senza un pizzico d’invidia, viene spontaneo sospirare “che bella gioventù!”.
Ma al volto di questi ragazzi, come in dissolvenza, si sovrappongono con insistenza le facce di una dozzina di loro coetanei, 17 – 22 anni, che in questi giorni ossessivamente appaiono su tutti i media: giovani che il 17 agosto scorso hanno seminato terrore e morte a Barcellona in Spagna e orrore e sgomento in tutta Europa. Guardando i loro volti, quasi ancora imberbi, sembra impossibile doverli chiamare terroristi, assassini, “killer ragazzini”. Eppure deliberatamente hanno fatto una strage: hanno stroncato vite di persone che cercavano solo riposo e cultura, rovinato famiglie, reso orfani, ferito e invalidato persone che non avevano fatto loro alcun male, gettando nella paura il mondo intero (uccise o ferite persone di ben 35 nazioni!). E per fortuna erano maldestri!
Di nuovo guardo i tendopolisti che rinunciano a qualche giorno di vacanza per riflettere sul senso della vita, su come vivere il vangelo, su cosa fare da grandi, in definitiva per divenire, almeno nell’intenzione, protagonisti costruttivi nella società. E per l’ennesima volta, fisso lo sguardo sulle foto dei terroristi di Barcellona, che il protagonismo, la gloria, cui aspirano tutti giovani, li hanno cercati nel pianificare l’uccisione del numero maggiore possibile di persone, inconsciamente mettendo in conto la possibilità di venire uccisi a loro volta.
E gli interrogativi si moltiplicano. Che tipo di educazione hanno ricevuto questi ragazzi? Quale ideale di vita è stato loro inculcato? Cosa hanno avuto gli uni, i tendopolisti, che è mancato agli altri, i terroristi, per avere sorti così diverse alla stessa età?
I sociologi tentano spiegazioni: erano emigrati di seconda generazione, ospiti in un Paese che non riuscivano a sentire come loro, ancora permeati di una cultura in contrasto con la nuova (di cui pure godevano i vantaggi), quindi non pienamente integrati, culturalmente schizofrenici, suggestionati da una religione, l’Islam, che conoscevano solo superficialmente, vittime di ideologie distruttive. Con l’aggiunta dell’idealismo e dell’incoscienza giovanili. Che senso ha vivere per uccidere e far del male e… farsi ammazzare a 20 anni? Fa pena guardare questi volti “bambini e assassini” non solo per il male che hanno provocato agli altri, ma anche per le loro vite così miserabilmente fallimentari. E il pensiero si allarga a tutta la situazione giovanile: invidiamo la gioventù e non ci rendiamo conto di quanto sia difficile essere giovani oggi per le tante lusinghe, le mancanze di opportunità nonostante le apparenze, il rischio di errori fatali che compromettono tutta una vita. (vedi pagine 3, 22, 72).
Il terrorismo ancora una volta ha dimostrato quanto sia fragile e vulnerabile la nostra democrazia. E sale perciò la preoccupazione di tutto il mondo occidentale che giustamente non vuole rinunciare alle sue libertà e al suo stile di vita e nello stesso tempo è costretto sulla difensiva e si domanda inquieto quale sarà il prossimo obiettivo. Purtroppo l’Italia, finora miracolosamente risparmiata, non può autoescludersi.
No tinc por, no tengo miedo gridava la gente all’indomani dell’attentato a Bar-cellona. “Non ho paura” siamo costretti a gridare anche noi. Non perché non l’abbiamo, ma perché se ci facessimo sopraffare dalla paura avremmo già dato la vittoria ai terroristi prima ancora di combattere. Ed è con fiducia e trepidazione, invece, che guardiamo ai nostri giovani: quelli che studiano, lavorano, cercano lavoro e comunque si preparano seriamente a prendere il loro posto nella società. Giovani per cui lo Stato dovrebbe fare molto di più per permettere loro di dare alla società il loro contributo di energia, creatività, innovazione. Giovani anche come i tendopolisti di San Gabriele, emuli di un giovane che a più di 150 anni dalla morte continua ancora a sprigionare vitalità, seguaci di un Dio che predica l’amore e chiede non di dare la morte, ma semmai di dare la vita per l’altro.