IL VERO DONO DEL NATALE

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 30 Novembre 2014

Che il Natale sia considerato da tutti, credenti e non, come una festività speciale lo vediamo dallo sfarzo con cui il mondo lo prepara, “alla sua maniera”, illuminando le vie di stelle, con negozi che sembrano dare l’idea che la felicità sia nelle cose, o doni. Tutte vanità che poco aiutano a capire il grande dono che Dio ci sta facendo: il suo figlio unigenito, Gesù.

È lui il vero e solo dono di cui l’uomo, ogni uomo, ha bisogno… anche se non lo sa o non vuole ammetterlo. Il resto è cornice di festa che può fermarsi lì, senza farci salire di un palmo verso le stelle che fanno corona al Dio tra noi e con noi. La chiesa, invece, sollecita a essere lieti, perché Gesù è vicino. Così infatti scrive Paolo ai Filippesi:

“Fratelli, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo” (Fil, 4, 4-7), ossia gioite! Fatevi riempire di gioia perché Dio è vicino.

C’è davvero un Natale necessario per tutti, ma deve essere preparato lontano dal chiasso del mondo e sapendoci porre a confronto con lui, per capire “i desideri del suo cuore”. Fa davvero impressione come subito, prima ancora di nascere, lo stesso Gesù, il Figlio di Dio, non abbia trovato accoglienza, “non c’era posto per loro”, e appena nato, abbia conosciuto la cattiveria umana – generata dal timore che “lui, il bambino” potesse togliere il potere! – e sia stato costretto, con i suoi genitori, a una fuga durissima, dalla Giudea verso l’Egitto, attraverso il deserto, non avendo dove alloggiare: una sofferenza che tanti anche oggi vivono, senza aiuti e anche sfruttati!

Gesù, che si fa dono a noi, affrontando tutti i rischi e le difficoltà del nostro essere uomini, ci conduce per mano, ci esorta a uscire dal chiasso della vita, a guardare a lui, a confrontarci con la sua parola per arrivare a chiederci: “E io che devo fare?”.

Una domanda che credo ci poniamo tutti, ma proprio tutti, quando sentiamo il bisogno di trovare la luce, e quindi di capire, udire, sentire l’amore del Padre che ci sta cercando e vuole che ci apriamo all’amore verso i fratelli. Questo deve essere il vero dono del Natale di Gesù, che prepariamo durante l’Avvento, e deve portarci necessariamente a una rinnovata attenzione alla richiesta di solidarietà di chi è più debole, come lo è stato lui bambino, di chi è solo e cerca da noi amore e aiuto, come Maria e Giuseppe alla ricerca di un luogo dove accogliere il Figlio. È questa, sicuramente, la strada buona che ci conduce a Betlemme: non il sentiero delle vuote parole di cui ormai siamo tutti stanchi, né il momentaneo e fugace sentimento di pietà, che ogni persona sensibile può provare, ma la strada del coraggio della fede e della carità.

Non si può conoscere e creare speranza senza queste due sorelle: fede e carità.

Diciamoci la verità: siamo davvero stanchi di feste che non sono feste; stanchi di correre dietro a mode che sono illusioni di poco tempo; stanchi forse del vuoto che c’è in noi o della pesantezza delle nostre colpe; stanchi di non sapere se qualcuno, in cui porre fiducia, davvero esiste.

Siamo stanchi di vedere la gente soffrire nella disperazione della ricerca di un lavoro dignitoso dove ogni diritto venga riconosciuto e che invece viene puntualmente lasciata da sola a lottare contro questo pessimo sistema del mondo del lavoro e magari senza una parola di conforto.

Siamo stanchi di sentirci avviliti e lasciati soli nei nostri guai. Vorremmo poter incontrare fratelli che sappiano realmente condividere e dire parole e compiere gesti, che esprimano una sola verità: ti voglio bene, non sei solo! Anzi, sentiamo sempre più l’urgenza di cambiare dentro, uscire noi stessi dal nostro individualismo per ritornare a sentirci ed essere fratelli.

Non resta, allora, che vivere camminando, anche se con fatica, con i passi della carità, della fede e della speranza, verso il grande giorno, sicuri che anche per noi il verdetto sarà: “Vieni benedetto nel regno che il Padre ha preparato per te”. Quel “vieni benedetto, perché avevo fame e mi hai dato da mangiare… ero forestiero e mi hai accolto… ero malato e mi hai visitato… ero in carcere e sei venuto a trovarmi”. È quest’amore, che è il tessuto della carità, fondamento della vita, che verrà a galla. Anche noi, come è scritto nel vangelo, gli chiederemo: “Quando ti ho incontrato povero, malato, in carcere, affamato, assetato…?”, e vogliamo sperare che Gesù stesso, alla presenza del Padre, ci dica: “Ogni volta hai fatto una di queste opere di bontà, ad uno di questi piccoli, l’hai fatta a me”.

E inizierà la gioia.

La seria preparazione dell’Avvento, per vivere nella fede il Natale, ci può portare questa gioia, già da ora, se la carità e l’accoglienza diventano il tessuto della nostra vita; se la domanda “Che cosa devo fare?” ci porterà a una risposta d’amore, perché tutti coloro che avremo accolto e amati, saranno i nostri avvocati, il nostro passaporto per il cielo.

Ma se la nostra vita è stata un continuo disinteresse, una indifferenza alle sofferenze, un egoismo che ha fatto di se stesso il centro di tutto, chi troveremo a difenderci?

Da soli, davvero, si può fare poco… ma sta venendo il Natale di Gesù, anzi, Gesù è già venuto, è tra noi, a darci la certezza che tutto può cambiare!

Viviamo, dunque, con fede, carità e speranza questo grande evento, che è l’inizio di un mondo nuovo, in cui Dio si fa vicino, fino a essere “il Dio con noi”, l’Emmanuele: ieri, oggi e sempre.

 

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