CRISTO È RISORTO, ALLELUIA

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 1 Marzo 2016

La santa Pasqua è per noi cristiani la più grande Festa dell’anno liturgico. E allora non resta che viverla nella sua pienezza. Alleluia, canta la chiesa, esprimendo tutta la gioia dell’umanità, ed ha ragione. Vogliamo metterci, per un giorno, nei panni degli apostoli, di Maria, sua madre e di quanti amavano sinceramente Gesù. Lo amavano sul serio, fino ad averlo scelto come il “tutto della vita”. Per Maria, poi, Gesù era il figlio prediletto, l’amato. Un figlio venuto dal cielo, è proprio il caso di affermare: annunziato dall’Arcangelo Gabriele, nato per opera dello Spirito Santo, circondato subito da profezie e poi da fatti straordinari, ma anche il Figlio dell’uomo, “intessuto” nel suo verginale grembo, “sangue del suo sangue”.

I 30 anni di Gesù, vissuti a Nazareth nella semplicità e povertà, devono essere stati per Maria una profonda esperienza di come si sta con Dio, anche se l’ombra della croce era sempre presente, a cominciare proprio dalla Natività a Betlemme. Maria aveva accolto questo dono vivendolo fino in fondo, accompagnando Gesù nella sua missione, fino a percorrere la via del Calvario. Ma ora Gesù era stato sepolto. Scomparso dalla loro vista. Quanti non amavano Gesù – e speriamo di non essere noi in quel numero – avevano ritrovato una misera e umana tranquillità, che è propria di coloro che non sanno riconoscere il bene, che è l’amore misericordioso del Padre per noi. Sapevano – come sappiamo – che le futilità, di cui tante volte riempiamo la nostra esistenza, sono come i fiori di cartapesta, ma si accontentavano, anzi forse preferivano questo: uomini di dura cervice, arroccati nel proprio ego. Per Maria e gli apostoli deve essere stato davvero angosciante e triste quel venerdì e sabato santo.

Ho visto, nei giardini della casa di esercizi spirituali, la villa del Sacro Cuore di Triuggio, una statua della Madonna: è seduta, raccolta, non si sa se nel suo profondo dolore o nella trepida speranza dell’attesa. Sulle labbra non ha il sorriso, manifestazione di gioia esterna, ma il volto riflette la solenne serenità di chi attende qualcuno. È immensamente bello anche solo sapere che Dio “fatto uomo”, abbia sperimentato il sapore della nostra terra, fatto di speranze, ma anche di tante tristezze. Ma quel sabato santo la terra, l’umanità si sentiva nuovamente tremendamente sola. Gli uomini avevano tentato – come sempre – con quel venerdì, di cancellare ogni impronta di Dio tra noi, per poi sperimentare l’infinita tristezza di sentirsi orfani senza amore e senza domani. Ecco perché è davvero consolazione grande del cuore, conoscere le ultime parole di Gesù, prima di morire: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”. Ma Gesù, la vita, non poteva essere spazzato via dall’odio, dalla nostra ottusità, dalla morte. Gesù stesso lo aveva più volte affermato, per preparare e confermare i suoi nella fede: “Il terzo giorno risusciterò…Io sono la risurrezione e la vita”. Questa è la nostra fede, che dona senso e gioia alla vita, oltre che rafforzare la vocazione a ridiventare “figli adottivi” del Padre: vocazione rifiutata dai nostri progenitori, con il peccato originale, e che noi possiamo cancellare con il nostro rifiuto, l’indifferenza, la superficialità, il nostro peccato: questo è il vero dramma esistenziale dell’uomo, di ogni uomo!

La Pasqua non è dunque solo la festa degli apostoli, di Maria, sua madre, di Maria di Magdala, dei suoi discepoli, ma è ora la nostra grande festa, in quanto chiamati anche noi a far parte della sua resurrezione. La Pasqua ci chiama alla conversione: tornare ad essere bambini dal cuore buono e fiducioso e così mettere in fuga le nostre umane paure, contemplando in Cristo e con Cristo la bellezza di cui possiamo essere avvolti e inondati, “se risorgiamo con lui”. Le nubi passano, il cielo resta. Come resta Gesù: ieri, oggi e sempre.

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