VACCINARSI È BELLO

non bisogna abbassare la guardia
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 3 Gennaio 2017

Nell’infanzia rappresentano il primo intervento preventivo per eliminare il rischio di far contrarre a un bambino pericolose malattie infettive che possono poi diffondersi tra la popolazione. Spesso si tratta di patologie molto pericolose per le quali non esiste una terapia o questa non si dimostra efficace (nei casi della difterite o del tetano); oppure si tratta di malattie che possono causare gravi complicanze, come il morbillo, la rosolia e la pertosse

Vaccinarsi è bello. Potrebbe essere questo lo slogan per una campagna di sensibilizzazione verso una pratica che ha consentito di debellare numerose malattie – pensiamo al tifo, alla tubercolosi, alla poliomielite – ma che ora sembra passare di moda. È talmente dato per scontato che nasciamo tutti in buona salute e così cresciamo, che può apparire superfluo ricorrere a farmaci speciali capaci di salvarci la vita o cambiarci in meglio l’esistenza.

Non è un vezzo il fatto che la tutela della salute e il diritto all’assistenza sanitaria siano argomenti previsti dalla nostra Carta Costituzionale e che vi siano in Italia leggi che impongono e garantiscono la vaccinazione per tutti. Mai come adesso potrebbe risultare deleterio abbassare la guardia. Lo testimoniano i recenti casi di morti per meningite avvenuti in Toscana e in Lombardia e numerosi altri episodi di persone affette da tubercolosi. Pertanto è lodevole la decisione della Regione Emilia Romagna di non accettare nelle scuole di infanzia bambini che non siano stati vaccinati. Altre regioni hanno annunciato di voler fare altrettanto e ci auguriamo che lo facciano tutte in brevissimo tempo, perché quella è l’età in cui occorre fortificare il nostro corpo ed è anche quella in cui si viene a contatto con altri bambini.

Ecco, sembra un aspetto marginale e poco considerato, ma molto spesso gli asili – così come in tutti quei luoghi in cui vi sono la concentrazione costante di persone e la possibilità di contatto tra loro – sono i luoghi in cui possono essere trasmesse malattie che risultato anche fatali. Può apparire paradossale, però non lo è affatto: in un’epoca in cui la globalizzazione abbatte tutti i confini, generando un flusso – non sempre positivo – di scambi e integrazioni, riaffiorano nelle civiltà più avanzate malattie di cui le attuali generazioni spesso ignorano l’esistenza e in molti over anta si cominciavano a perdere le tracce, generando in qualcuno l’ingannevole convinzione che il vaccino sia solo quello annuale per evitare di prendere l’influenza. Invece, non è così. Ogni giorno siamo a contatto con persone che provengono da paesi differenti dal nostro, in molti dei quali le politiche sanitarie sono carenti o addirittura inesistenti. Per questo occorre prestare la massima attenzione.

Nell’infanzia le vaccinazioni rappresentano il primo intervento preventivo per eliminare il rischio di far contrarre a un bambino pericolose malattie infettive che possono poi diffondersi tra la popolazione. Spesso si tratta di malattie molto pericolose per le quali non esiste una terapia (ad esempio la poliomielite o l’epatite B) o questa non si dimostra efficace (nei casi della difterite o del tetano); oppure si tratta di malattie che possono causare gravi complicanze, come il morbillo, la rosolia e la pertosse. Quanti genitori hanno preso la rosolia – come si usa normalmente dire – in età adulta, attraverso i figli, dopo averla “schivata” da piccoli? La stessa cosa vale per la parotite epidemica, più nota come “orecchioni”. Come si vede, vaccinarsi non solo protegge l’individuo, ma in casi particolari eradica la malattia, mentre non farlo significa correre rischi inutili e diventare un pericolo di contagio.

C’è, poi, chi ritiene che sia superfluo ricorrere al vaccino contro i soliti mali di stagione, invece – e anche in questo caso, purtroppo, le cronache parlano di vittime – occorre farlo. Sciarpa, cappello, cappotto, bevande calde e spremute d’arancia non bastano a sconfiggere i virus influenzali che quest’anno, più che in passato, ci stanno flagellando. È stato calcolato che a fine stagione almeno sette milioni d’italiani avranno avuto l’influenza, un dato superiore a quello dell’anno scorso (furono cinque milioni). L’influenza non va affatto sottovalutata: è una malattia importante che può richiedere il ricovero ospedaliero e talvolta – come abbiamo visto – può anche causare l’eterno trapasso. Eppure c’è chi l’affronta con leggerezza.

Una ricerca condotta sull’influenza (il nome deriva dalla credenza antica secondo la quale a provocarla erano gli influssi negativi degli dei) ha evidenziato che il 65 per cento degli italiani si cura da sé. Tra le precauzioni più usate, oltre la metà degli intervistati ha dichiarato che preferisce coprirsi bene e lavarsi spesso le mani; bassissima è la percentuale di chi si vaccina: il 14,7 per cento, e una buona parte quando ormai è troppo tardi. Poi, c’è un 18 per cento che non fa addirittura niente e tra questi, come riportato anche dai giornali, vi sono anche alcuni che lavorano nella sanità, medici e infermieri compresi!

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