UN PRIMATO DALLE ORECCHIE LUNGHE

rapporto Eurostat
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 1 Luglio 2016

Nella ricerca condotta dell’ente europeo che monitora l’andamento nei paesi dellA UE, l’Italia indossa una bella maglia nera: è all’ultimo posto, in percentuale, per la spesa pubblica destinata all’istruzione e al penultimo per quella destinata alla cultura

Quando si crede che le cose non cambiano, è bene ricordare ciò che sosteneva il premio Nobel per la pace Nelson Mandela: “L’istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo”. Noi la usiamo poco, a giudicare dall’ultimo rapporto Eurostat, l’ente europeo che monitora l’andamento nei paesi della Ue, nel quale l’Italia indossa una bella maglia nera: è all’ultimo posto, in percentuale, per la spesa pubblica destinata all’istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo (fa peggio solo la Grecia) per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Se poi si guarda alla percentuale sul Pil la spesa italiana è al 4,1%, a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%), insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia. Non va meglio per la spesa per la cultura: 0,7% contro l’1% della media Ue. Per la protezione sociale l’Italia spende il 21,5% del Pil (19,5% la media Ue) ai primi posti dopo Finlandia, Francia, Danimarca e Austria.

Nell’istruzione la spesa è in linea con la media nell’educazione primaria, lievemente più bassa per quella secondaria mentre è molto inferiore per l’educazione terziaria, ovvero universitaria e post universitaria, e nella ricerca. La spesa in percentuale sul Pil nell’educazione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica la Ue si attesta in media sull’1,6% e l’Italia sullo 0,7%. Nella spesa per l’istruzione terziaria il nostro paese è fanalino di coda, lontanissimo dai tedeschi (0,9% sul Pil e 2% sulla spesa pubblica).

Il nostro paese è invece a un livello molto alto di spesa per i servizi generali, l’area nella quale sono compresi, oltre agli interessi sul debito, anche le spese per gli organi elettivi e gran parte delle spese per il funzionamento della pubblica amministrazione. In questo settore spendiamo l’8,9% del Pil (a fronte del 6,7% medio Ue) e il 17,4% della spesa pubblica, a fronte del 13,9% della media comunitaria.

Il dato relativo all’istruzione va letto ovviamente tenendo conto della diversa composizione demografica (è evidente che in un paese con percentuali molto alte di giovani la spesa per la scuola deve essere necessariamente più alta); tuttavia, pur tenendo conto che il nostro è un paese più “vecchio” di altri, l’ultima posizione in classifica non appare affatto giustificata. Soprattutto appare ancora troppo elevato il divario rispetto alla media europea.

Questa inferiorità ha ripercussioni sul lavoro. Nell’Unione – rileva ancora Eurostat – mediamente 8 giovani su 10 hanno un’occupazione a tre anni dal titolo (in Germania addirittura 9 su 10). Da noi, invece, poco più di un laureato su due (il 52,9% del totale) risulta occupato entro tre anni dal conseguimento del diploma. Si tratta del dato più basso dopo quello della Grecia. Va ancora peggio ai diplomati, tra i quali soltanto il 30,5% ha un lavoro dopo tre anni, mentre sta leggermente meglio chi ha un diploma professionale, nel cui caso il dato sale al 40,2%. Nel complesso, le persone tra i 20 e i 34 anni uscite dal percorso formativo occupate in Italia nel 2014 erano appena il 45% contro il 76% medio in Europa, indietro quindi di oltre trenta punti rispetto alla Ue a 28. In particolare il dato complessivo è lontano da quelli tedesco (90%), britannico (83,2%) e francese (75,2%).

L’Italia è in ritardo sia sull’occupazione dei diplomati (per i diplomi non professionali si registra appena il 30,5% di occupati a tre anni dal titolo contro il 59,8% medio Ue e il 67% della Germania) sia su quella dei laureati. Per l’educazione terziaria (dalla laurea breve al dottorato) l’Italia si situa sempre al penultimo posto dopo la Grecia con il 52,9% (93,1% la Germania).

Per l’Italia c’è stato un crollo per la percentuale di occupazione dopo il titolo con la crisi economica e la stretta sull’accesso alla pensione che ha tenuto al lavoro la fascia di età più anziana. In particolare tra il 2008 e il 2014 la media di giovani occupati a tre anni dal titolo nell’Unione Europea è scesa di otto punti (dall’82% al 76%) mentre in Italia è crollata di oltre venti punti (dal 65,2% al 45%). Nello stesso periodo in Germania la percentuale è cresciuta dall’86,5% al 90% mentre in Francia è passata dall’83,1% al 75,2%. Nel Regno Unito la percentuale è rimasta stabile (dall’83,6% all’83,2%). In genere i tassi di occupazione dei laureati sono superiori a quelli dei diplomati, ma siamo ultimi nella percentuale di giovani laureati. Insomma, c’è ancora molto da pedalare.

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