SEGNI PAROLE GESTI DELLA LITURGIA

By Michele Seccia
Pubblicato il 31 Marzo 2016

Abbiamo celebrato la Pasqua del Signore, cuore e momento culminante dell’anno liturgico e della nostra fede, come afferma l’apostolo Paolo: se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vana è la vostra fede, (1Cor 15,14). Con questa premessa è bello proseguire il cammino di comprensione del significato della celebrazione del mistero cristiano, seguendo il Catechismo dei giovani.

Anzitutto chi celebra la liturgia è Cristo che, con la sua presenza sacramentale, abbraccia il tempo e l’eternità, lo spazio e l’infinito, angeli e uomini, vivi e defunti, presente e futuro. Infatti la liturgia, scriveva papa Benedetto XVI, non è un ingresso nella liturgia celeste che già da sempre avviene nell’eternità? Non è vero che l’uomo si inventa e canta qualcosa: ma il canto gli giunge dagli angeli. Questa affermazione diventa chiara quando leggiamo il libro dell’Apocalisse (per esempio il cap. 4). Siamo condotti così a capovolgere, forse, il nostro modo abituale di intendere la liturgia: difatti essa è in primo luogo un servizio di Dio a noi, e solo in secondo luogo un nostro servizio a Dio. Nella parola e nel sacramento è presente Gesù. È la certezza di ogni liturgia! Noi veniamo dopo. Gesù offre la propria vita per noi in modo che portiamo a lui l’offerta spirituale della nostra vita. Nell’eucaristia Cristo si dà a noi perché noi ci diamo a lui; noi diamo a Cristo, per così dire, un assegno in bianco sulla nostra vita (YC 180). Prendiamo parte al sacrificio di Cristo che ci redime e ci trasforma; la nostra vita limitata viene così inserita nel regno di Dio che riversa la sua vita nella nostra.

Caro Amico/a, se quanto hai appena letto suscita in te stupore, rifletti subito anche sui segni e sui simboli che utilizziamo nella liturgia per esprimere la fede, i sentimenti, la realtà che celebriamo: i fiori, un abito bianco o nero, gli anelli, segni esteriori che manifestano realtà interiori ben comprensibili. Il Figlio di Dio, fatto uomo, ci dona segni umani nei quali egli diviene vivo ed efficace in mezzo a noi; vengono indicati come la materia dei sacramenti: il pane e il vino, l’acqua per il battesimo, l’olio per l’unzione con lo Spirito Santo (YC 181).

Quali comportamenti assumiamo dinanzi a questi sacri segni o simboli? Essi sono gesti significativi come la genuflessione per adorare; lo stare in piedi o seduti per indicare attenzione e ascolto; l’inchino, la stretta di mano, ecc. I segni e i gesti, pur comprensibili nella comunicazione non verbale, hanno bisogno delle parole per esprimerne efficacemente la completezza. Durante ogni celebrazione liturgica l’incontro con Dio avviene per quanto lui stesso opera, realizza, annuncia con la sua parola. Prende l’iniziativa di un dialogo d’amore, di misericordia, di grazia… dialogo dal quale è difficile sottrarsi perché ne siamo coinvolti personalmente. Solo un piccolo esempio. Il celebrante mostra i doni dell’offertorio, poi dice: Questo è il mio Corpo… questo è il mio Sangue! Parole che ci fanno comprendere che i simboli diventano sacramenti, cioè operano, attuano quanto è stato appena affermato (YC182).

Non vorrei dimenticare altre due modalità del nostro coinvolgimento nella liturgia: il canto e il silenzio! Non sono contrapposti, ma complementari: il canto esprime la gioia, la lode e la musica sostiene il canto o invita alla meditazione; il momento del silenzio è un invito alla preghiera del cuore ma anche una presa di coscienza del non riuscire sempre ad esprimere completamente gratitudine, meraviglia, lode al Signore per quanto riceviamo nella celebrazione (YC 183). Sco-priamo così che, grazie alla liturgia, il nostro tempo è anche il tempo per Dio: di incontro, di ascolto, di lode, di adorazione e, sia pure in modo fugace, una immersione nell’esperienza dell’eternità (YC 184).

Quest’ultima riflessione ci introduce nella pedagogia dell’anno liturgico. Come ogni anno noi celebriamo il nostro compleanno o l’anniversario di eventi che hanno segnato la nostra esistenza (nascita, laurea, nozze, lavoro…) così la liturgia festeggia gli avvenimenti della salvezza operata da Cristo e vissuta dall’umanità. Ma attenzione alla differenza fondamentale: non possiamo limitare Dio nel tempo! Il tempo è di Dio. Egli è l’eterno presente. Per questo nella celebrazione liturgica e nelle diverse tappe dell’anno possiamo e dobbiamo dire: Oggi celebriamo! Grazie alla fede e all’azione dello Spirito Santo noi o siamo contemporanei di Gesù, oppure è meglio lasciare stare, come scriveva il filosofo Soren Kierkegaard (YC 185). In questo mese, caro amico/a, vivi ogni domenica la gioia della risurrezione di Cristo.

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