IL NATALE DI GESÙ E NOSTRO
Buon Natale a voi tutti, carissimi e carissime, che mi leggete. Un augurio che vorrei non fosse affidato alle semplici e tante volte banali parole che ci si scambiano. Il Natale di Gesù è l’evento della storia dell’uomo, di tutti gli uomini e per tutti i tempi. Ci eravamo persi – e continuiamo a perderci – dietro l’inganno del serpente nel paradiso terrestre, che era la vera nostra casa, preparataci dal padre. Con il peccato originale, e continuiamo con i nostri peccati, a preferire il ghetto di questo mondo, che proprio nulla può offrirci che sia degno della nostra natura di figli di Dio. Assomiglia tanto, il nostro mondo, a quel “governare la mandria di porci”, dove il figlio prodigo, che aveva abbandonato la casa paterna, era finito, fino a rischiare di morire di fame. Ma Dio, giusto e quindi fedele al suo amore, che non può mai mutare, qualunque siano le nostre risposte e scelte, non poteva e non può fare finta di non ricordarsi che, anche se peccatori, siamo suoi figli. E i figli non escono mai dal cuore del padre.
È di una sofferenza insopportabile, per chi conserva la saggezza del cuore, vivere senza sapere per chi vive: condannato a stare fuori casa, per sempre orfano di chi non si può fare a meno, il padre, il paradiso. Ma lui, il Padre, ha manifestato il suo immenso amore donandoci suo Figlio, perché prendesse carne da una Vergine immacolata, Maria, e fosse uomo come noi: una condivisione della nostra sofferenza di esuli, fino a pagare il nostro debito, dando la vita sulla croce. Con il Natale di Gesù non possiamo più dire che Dio non è vicino a noi. Ha cominciato a esserci nel giorno della sua concezione e lo sarà fino alla fine dei tempi.
Grande giorno, immensa festa il santo Natale. Verrebbe la voglia di mettersi i panni dei pastori che, svegliati nella notte dall’annuncio degli angeli, vanno verso la grotta e vedono il figlio di Dio nella mangiatoia, che bene raffigura la nostra povertà di uomini. E, nel silenzio di quella notte di stelle, credo che bisognava essere sordi per non sentire il canto della moltitudine degli angeli per noi: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Così descrive la venuta di Gesù l’apostolo Paolo a Tito: “Quando si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, nella vita eterna” (Tito 3,4-7).
A Natale, facendosi coinvolgere dalla gioia di Dio tra di noi, forse inconsapevolmente, si respira, speriamo che non sia solo per un giorno, un grande desiderio di comunicare amore, di stare insieme, e, non ultimo, di fare partecipi della gioia quelli che proprio la gioia non la conoscono per la sofferenza o peggio per la loro povertà, che non permette la festa. E allora si moltiplicano le iniziative di carità, dovunque, come a invitare tutti alla festa. Si fa così spazio alla carità, che è fare posto a chi non ha posto nella felicità. Un tempo i nostri fratelli cristiani, ogni volta che si mettevano a tavola, lasciavano un posto libero, il posto di Gesù, pregando: “Maranathà, vieni Signore Gesù”.
Non manchi nella nostra festa quel posto lasciato libero per Gesù, che è in chi ha fame e soffre. Rimettiamo nelle nostre case il presepio, che sia la memoria del Natale, come era abitudine un tempo. E quel presepio sia sorgente della nostra felicità, che solo Dio sa donare. Ma facciamoci prendere, carissimi, dalla semplicità delle parole con cui l’evangelista Luca ci narra il Natale di Gesù: “Era tempo di censimento e anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea, salì in Giudea, alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,1-14).
Un evento che aprì sull’umanità i cieli e gli angeli si affrettarono a darne notizia ai poveri, i pastori, che subito si misero in cammino e trovarono Gesù, provando grandissima gioia. Come si sente la nostalgia di quell’annunzio e di quella gioia oggi, in un mondo tanto triste proprio perché manca della pace che solo viene dalla nascita di Gesù tra di noi!
Non resta che metterci in cammino nella notte del nostro tempo, verso la grotta del Natale, come i pastori, con il cuore aperto dei veri poveri, che non nascondono il bisogno di chi li ami, perché li renda capaci di amare!
Auguri, allora, carissimi e carissime. Facciamoci riempire il cuore dal canto degli angeli, che il buon Natale lo annunciano così: “Pace in terra agli uomini che Dio ama!”.