GERARCHIA E COLLEGIALITÀ NELLA CHIESA

una chiesa democratica?
By Michele Seccia
Pubblicato il 3 Aprile 2015

Continuiamo a conoscere la chiesa di Cristo, con la guida del Catechismo dei giovani (YouCat), così come è composta e si presenta ai nostri occhi, ma anche alla luce della parola di Dio. Ho già ricordato che con il battesimo tutti, indistintamente, siamo chiamati alla santità, ossia alla vita dei figli di Dio secondo il vangelo di Gesù Cristo. La storia della santità, lungo i secoli, ne propone numerosi esempi: uomini e donne, laici e chierici, consacrati e coniugati, giovani e anziani, pontefici e umili preti, grandi pensatori e analfabeti, eccetera. Una precisazione dovuta poiché ci rivela l’azione di Dio che non tiene conto delle distinzioni alle quali noi prestiamo troppa attenzione, difatti Dio vede il cuore dell’uomo, come disse il profeta nella scelta di Davide quale re d’Israele (1Sam 16,7).

Fatta questa premessa, chiariamo perché la chiesa che non va intesa come un’organizzazione democratica (YouCat 140). Che vuol dire? Nella chiesa ogni potere viene da Cristo e non dal popolo. Infatti ai laici sono affiancati i ministri consacrati (diaconi, presbiteri, vescovi, papa) che hanno gli specifici compiti di reggere, insegnare e santificare. Dire che la chiesa ha una struttura gerarchica, significa affermare che Cristo stesso opera in essa ogni qualvolta i ministri ordinati fanno e danno qualcosa che non potrebbero fare e dare per conto proprio: essi agiscono in nome di Cristo (per esempio quando amministrano i sacramenti, annunciano la parola, eccetera).

Dai vangeli apprendiamo che Gesù Cristo ha affidato la missione di trasmettere il suo messaggio di salvezza agli apostoli, prima di tornare al Padre, come precisa l’evangelista Matteo (Mt 28,18-20). Questa consegna dell’insieme della fede (sacramenti e insegnamento: andate e fate miei discepoli … battezzando … e insegnando), fatta ad una comunità di apostoli, fonda e motiva anche la struttura collegiale della chiesa. I vescovi, successori degli apostoli, reggono la chiesa sotto la presidenza del magistero petrino (papa), manifestando l’importanza della collegialità, che non si sostituisce alla responsabilità primaria del successore di Pietro. Tutti i concili e i sinodi, celebrati sin dai primi secoli del cristianesimo, ne sono una viva testimonianza.

Cum Petro et sub Petro, in comunione con Pietro e sotto l’autorità di Pietro: esprime e spiega il valore della collegialità e la relazione tra i singoli vescovi e il papa. Come vicario di Cristo e successore di san Pietro, egli è il capo del collegio episcopale, segno e garante dell’unità della chiesa ed ha la più alta autorità nelle decisioni che riguardano la fede, la disciplina, la vita stessa della chiesa (YC 141).

Nell’esercizio di questa funzione, va compresa anche l’infallibilità del papa solo quando, in una solenne cerimonia ecclesiastica (ex cathedra) proclama un dogma o prende una decisione normativa in materia di fede e di morale (YC 143). Ma, ricorda il catechismo, possono avere carattere infallibile anche le decisioni del collegio episcopale in comunione con il papa, così come avviene durante un concilio. Per fare due esempi vicini ai nostri tempi: la definizione dogmatica dell’Assunzione al cielo di Maria di Nazareth, madre di Cristo e madre nostra; le tre Costituzioni dogmatiche (Dei verbum sulla divina rivelazione; Sacrosanctum concilium sulla liturgia; Lumen gentium sulla chiesa) approvate durante il concilio Vaticano II.

Infine, vale la pena ricordare a questo proposito che nella concreta esperienza della vita di una comunità ecclesiale (diocesi, parrocchia) il servizio che ciascuno è chiamato a svolgere deve ispirarsi allo stesso principio di collegialità e di comunione.

Caro Amico/a che segui questa rubrica, non esitare a chiedere eventuali chiarimenti su quanto hai appena letto. Intanto ti auguro di vivere, in compagnia di san Gabriele, una Buona Pasqua! misec@tiscali.it

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