IL ROMBO DEL SILENZIO

Mi ha fatto molto riflettere la puntualizzazione di un amico di lungo corso sull’importanza del silenzio. Discorrendo del più e del meno, durante la parca cena conventuale si commentava il pellegrinaggio dell’urna con le reliquie di san Gabriele a Bari-Taranto-Matera (il reportage è alle pagine 20-21), quando l’amico mi offre un assist: “Ma tu guarda come va il mondo. In tutta la sua vita terrena san Gabriele amò il nascondimento e custodì gelosamente il silenzio rinunciando perfino a uscire dal convento per unirsi alla folla plaudente al passaggio del papa Pio IX in visita allo stato pontificio. Adesso da morto se ne va spesso per città e villaggi in ricognizione dei suoi devoti e fa risuonare la sua voce nel profondo del cuore di innumerevoli moltitudini”.

È vero. Il silenzio fu uno dei punti fermi del santo perché gli conciliava la sua continua unione con Dio. Una volta rischiò addirittura di beccarsi un solenne ceffone da un prete al saluto del quale si limitò a rispondere con un semplice inchino in ossequio alle prescrizioni della regola abbracciata.

Dirò che oggi in un tempo di sbrecciata logorrea politica fa piacere constatare la sobrietà del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un uomo di poche parole, che quando la Camera al raggiungimento della quota 505 saluta con un boato il dodicesimo presidente della Repubblica, lui davanti alla tv in casa della figlia accoglie la sua elezione con un momento di commosso silenzio. E mantenendo lo stile di una vita, saluta gli italiani evocandone difficoltà e speranze con un soffio di voce: solo quindici parole, su cui si riversarono quintali di commenti. Il tutto peraltro in sintonia con un uomo riservato e silenzioso che dal 2008 aveva rilasciato un’unica intervista. Tuttavia quel silenzio, lassù dal Colle, rimbomba come un tuono. E a suo modo ti inquieta, mentre attorno la gente non smette di vociare.

Ma non è stato sempre così. I suoi predecessori, come in genere i politici attuali, hanno fatto uso e abuso del potere di esternazione. Una pioggia di interviste, note di stampa, discorsi ufficiali, comunicati, conferenze, messaggi televisivi, allocuzioni, talk show e imbonimenti di piazza.

Forse gli ultimi presidenti hanno parlato troppo? Forse i politici troppo spesso si sono esercitati in una recita dell’ovvio? Forse le loro esternazioni sono pari al vuoto lasciato dai partiti? Le parole andrebbero spese con misura, soppesandole una ad una e non, come invece accade, per foraggiare la propria avidità di protagonismo.

Rimane memorabile l’elogio del silenzio fatto da Paolo VI a Nazareth il 5 gennaio 1964: “Oh se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito! Mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri! Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto”.

Ma che cos’è allora il silenzio? La più perfetta espressione del disprezzo, come diceva Bernard Shaw? Preferisco pensare all’aforisma di Schopenhauer: il silenzio è l’albero da cui pende la pace.