FRA RUSSIA E UCRAINA LA MICCIA DI UNA GUERRA

Il culmine dello scontro armato fra governativi e russofili si è avuto all’inizio di quest’anno, quando gli indipendentisti, dopo aver guadagnato terreno con l’appoggio di Mosca e profittando della debolezza proclamato fittizie repubbliche autonome e si sono ripromessi ulteriori avanzate   La divisione dell’Ucraina si è consumata esattamente un anno fa, nel marzo 2014, dopo un periodo di convulsi avvenimenti e movimenti di piazza, rivoluzioni “arancione” e controrivoluzioni, repressioni e cambiamenti politici. In quel mese i cittadini della Crimea hanno approvato a grande maggioranza il ritorno alla Russia, dalla quale nel 1954 la penisola era stata staccata e “regalata” a Kiev dall’allora leader sovietico Nikita Kruscev. Nel frattempo però la situazione critica si è trasformata in uno scontro militare a tutti gli effetti.

“Una scandalosa guerra fra cristiani” ha denunciato papa Francesco; essa ha fatto già, come hanno affermato i vescovi ucraini in missione a Roma, oltre seimila morti, dodicimila feriti e provocato due milioni di profughi e senza tetto. Gli stessi presuli hanno parlato di “una invasione straniera, una guerra imposta dal di fuori”, “non dichiarata e non aspettata”.

Mosca, in effetti, non ha mai sopportato la volontà di indipendenza della maggioranza degli ucraini, la marcia di avvicinamento del loro paese all’Europa, perché questo comportamento di Kiev vanifica il disegno di Vladimir Putin – l’incontrastato padrone della Russia – di costruire una sorta di contraltare orientale all’Unione Europea. Nel tempo le pressioni del Cremlino si sono fatte più brutali e, alla fine, si sono tradotte in un intervento bellico neppure troppo mascherato, nonostante i “volontari” senza mostrine.

Con l’istigazione e l’appoggio alle popolazioni russofone (la maggioranza) dell’est dell’Ucraina in rivolta contro il governo centrale, e con il recupero della Crimea, da Mosca è stato violato un accordo del 1992, da essa sottoscritto, che sanciva l’inviolabilità delle frontiere. Ma Putin, di antica formazione sovietica (faceva parte della polizia politica dell’ex Urss), carezza il sogno di riportare la Russia al ruolo che aveva prima del crollo del comunismo nel 1989.

È stato scritto che il suo vero avversario è l’Europa, così come si presenta oggi, con le sue istituzioni (magari non perfette ma perfettibili per comune accordo), con la sua articolata vita democratica, con la forza delle sue strutture. Bisogna infatti ricordare che l’Ue, nel complesso e nonostante la lunga crisi finanziaria dell’ultimo decennio, precede gli Stati Uniti e la Cina come potenza economica e come capacità di attrazione anche politica: si pensi  all’Africa che sogna di dotarsi di una istituzione simile all’Unione Europea.

Il culmine dello scontro armato fra governativi e russofili si è avuto all’inizio di quest’anno, quando gli indipendentisti, dopo aver guadagnato terreno con l’appoggio di Mosca e profittando della debolezza dell’esercito regolare ucraino, hanno proclamato fittizie repubbliche autonome e si sono ripromessi ulteriori avanzate. La situazione minacciava di degenerare in una vera e propria guerra con il coinvolgimento ufficiale della Russia, cui a livello internazionale si imputava la responsabilità dello scontro, anche se essa cercava di rovesciarne le colpe su Kiev.

Una parziale battuta d’arresto dello scontro si è avuta con il compromesso per una tregua, favorito dalla mediazione della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese François Hollande, con il quale le parti in conflitto restano, a partire dal 15 febbraio, sulle attuali posizioni in attesa di ulteriori passi diplomatici. Nessuno nega che si tratti di un parziale successo di Putin, il quale arresta la marcia dell’Ucraina verso l’Europa: ma a quale prezzo?

Il costo materiale della controversia è pesante. L’Europa e gli Stati Uniti, infatti, hanno applicato sanzioni economiche contro Mosca, riducendo gli scambi, bloccando conti bancari, impedendo l’ingresso a un certo numero di uomini d’affari e politici russi. Si parla addirittura di una eventuale richiesta di espulsione dal Consiglio d’Europa. Le contromisure del Cremlino non si sono fatte attendere, con grevi ricadute sul commercio europeo. In pochi mesi si conteggiano danni per oltre 70 miliardi di dollari per la Russia e 22 per l’Europa (170 milioni di minori esportazioni per l’Italia, specialmente nell’agroalimentare e nella moda). Fuori dal contenzioso per il momento sono le forniture di gas dalla Russia, che peraltro non può permettersi di tagliarle a rischio di mandare in tilt l’intera sua economia.

Tutti si augurano che, a questo punto, prevalga la ragione. Le soluzioni proposte, sperando che nel breve periodo la tregua tenga, riguardano un accordo che, un po’ come nel nostro Trentino-Alto Adige, lasci larghe autonomie alle minoranze (uno degli errori fatti a Kiev è stato di abolire il russo come seconda lingua, alimentando il risentimento dei russofoni, il 30 per cento della popolazione). è prevedibile che, a breve termine, non si parli più di associazione dell’Ucraina all’Europa: potrebbe essere il prezzo della pace. È certo però che l’Ue e gli Stati Uniti guarderanno con sempre maggiore attenzione alle frontiere orientali, per impedire che fenomeni analoghi si verifichino in Lettonia ed Estonia, dove vivono consistenti minoranze di russofoni. Perché qui sarebbe rischioso il giochino degli autonomisti che gridano alla persecuzione e si fanno aiutare e armare dall’esterno, in quanto la Nato offre ai suoi membri precise garanzie, essenzialmente militari e di difesa, che non potrebbe disattendere.

Da settanta anni i soli, tragici spari in Europa erano stati quelli, fra il 1990 e il 2000, del decennio balcanico. “L’unica parola giusta è la pace” ha proclamato papa Francesco. L’auspicio è che questa parola risuoni anche fra Ucraina e Russia.