UNO SCONTRO A RISCHIO FRA  STATI UNITI E IRAN

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 2 Giugno 2019

Con lo scontro, per ora verbale ma che può trasformarsi in qualcosa di militarmente serio, fra gli Stati Uniti e l’Iran si completa drammaticamente lo scenario bellico del Medio Oriente, con gli attuali protagonisti che sono la Libia con la sua guerra civile, Israele e Gaza con lo scambio di missili e bombardamenti, la Siria ancora alle prese col suo conflitto quinquennale, lo Yemen lontano e dimenticato. E le tristi sequele di vittime innocenti, bambini, donne, vecchi, le migliaia di profughi, le distruzioni, la sconnessione del tessuto civile.

Ma la crisi fra Washington e Teheran rischia di far divampare l’incendio a livello non più soltanto regionale perché coinvolge certamente interessi di grandi potenze, la Russia, la Cina, l’Europa e il mondo musulmano, quest’ultimo aspramente diviso. Le sanzioni che sono state imposte dagli Stati Uniti, dopo che questi si sono ritirati nel maggio 2018 dall’accordo sul nucleare che era stato raggiunto faticosamente nel 2015 sotto la presidenza di Barack Obama e con i paesi europei, rischiano di diventare la miccia di un conflitto ben più vasto che possa coinvolgere l’intero Medio Oriente, e forse anche qualche cosa di più. Ci sono infatti tutte le condizioni perché il confronto si faccia sempre più duro. Gli Usa e Israele accusano Teheran di mentire circa il rispetto delle clausole dell’accordo, secondo le quali si sarebbero dovute interrompere le ricerche per la fabbricazione dell’atomica. Gli iraniani respingono le accuse, confortati dall’Agenzia Nucleare, una struttura delle Nazioni Unite, i cui controlli sul terreno avrebbero certificato l’assenza di attività dirette a costruire la bomba. Secondo i servizi segreti americani e israeliani, invece, il regime degli ayatollah manda avanti in località segrete i lavori per lo sviluppo del nucleare.

Gli ultimi sviluppi dello scontro non sono rassicuranti. Da una parte il presidente Donald Trump (sempre più convinto della malafede della controparte) fa dirigere verso il Golfo Persico la portaerei Abraham Lincoln e altre apparecchiature di guerra, agitando lo spettro della mobilitazione (fortunatamente smentita come una “falsa notizia”) di 120mila militari da inviare sul teatro mediorientale; dall’altra l’Iran minaccia di puntare missili a lunga gittata contro le postazioni americane in Iraq. Nello stesso tempo in cui misteriosi sabotaggi colpiscono le petroliere dell’Arabia Saudita, sabotaggi dei quali vengono accusati i malfamati “guardiani della rivoluzione” di Teheran, fra l’altro inclusi di recente da Trump fra le “organizzazioni terroristiche internazionali”. È certo che le sanzioni americane hanno messo in crisi l’economia e la società iraniane. Le esportazioni di idrocarburi sono scese di due terzi (Trump si vanta di aver sottratto a Teheran miliardi di dollari) e rischiano di calare ulteriormente se le nazioni europee firmatarie dell’accordo del 2015, attualmente in grave imbarazzo, dovessero sottostare al diktat della Casa Bianca, con l’interruzione delle forniture di petrolio dall’Iran. Che, da parte sua,  ai sottoscrittori  europei dell’intesa ha lasciato tempo sino alla fine di giugno per riparare – si dice – ai guasti causati dalle decisioni di Washington; in caso contrario ci si riterrà sciolti da ogni impegno assunto a suo tempo. I venti di guerra che soffiano in Medio Oriente mettono a rischio la pace del mondo.

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