La persecuzione dei cristiani è in “scioccante aumento a livello globale”, afferma la World Watch List della Ong Porte Aperte. Ben 245 milioni di cristiani sono in qualche modo perseguitati nel mondo a causa della loro fede: un cristiano ogni nove conosce una qualche forma di persecuzione, dalla violenza brutale fino alla morte o quella più sottile, culturale e psicologica che emargina (martirio bianco).
I cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato al mondo. Tra novembre 2017 e ottobre 2018 il numero di cristiani uccisi per ragioni legate alla fede è salito da 3.066 nel 2017 a 4.305 del 2018, con la Nigeria ancora terra di massacri (3.731 cristiani uccisi). Aumentano le persecuzioni e così pure il numero dei martiri. I kamikaze vogliono la strage, il numero più alto possibile di morti, feriti e danni.
Sono almeno 11 le nazioni con una persecuzione definita estrema. Al primo posto c’è sempre la Corea del Nord, dove si stimano tra i 50 e i 70 mila i cristiani detenuti nei campi di lavoro a motivo della loro fede. Seguono nel triste elenco l’Afghanistan, la Somalia, la Libia (molti cristiani in fuga dai disordini dell’Africa subsahariana rimangono bloccati in questo Paese, dove subiscono violenze e ricatti). In Pakistan la legge sulla blasfemia prevede l’arresto e la morte a chiunque sia accusato di aver parlato male di Maometto (vedi caso di Asia Bibi). L’India, che ha insegnato al mondo la non-violenza, è decima nella lista di Porte Aperte.
L’80% di tutte le persecuzioni religiose riguardano i cristiani. Molti i motivi: un’oscura ostilità al cristianesimo, la rinascita del fondamentalismo e dei nazionalismi religiosi, l’avversione alla globalizzazione considerata un fenomeno “occidentale” e l’identificazione del cristianesimo come religione degli occidentali percepiti come “dominatori” e oppressori. è chiaro che nessuno di questi motivi, nemmeno messi insieme, può offrire la minima giustificazione. Ironia della sorte: s’identifica il cristianesimo con l’Occidente dove invece, in più parti, si respira un’atmosfera anticristiana e quasi ci si vergogna di essere cristiani.
I cristiani sono vittime eppure ricercano il dialogo, non la vendetta. Lo impone il vangelo innanzitutto, ma anche la civiltà e in definitiva anche la convenienza. Senza dialogo l’odio e la violenza dilagherebbero. Bisogna invece pretendere con fermezza che le autorità puniscano esemplarmente gli autori e non si limitino a condanne di facciata, che non scoraggiano i persecutori. Vale soprattutto per i paesi musulmani nella maggioranza dei quali i cristiani subiscono una qualche forma di restrizione. Purtroppo anche le nazioni occidentali sono timide nel pretendere concretamente il rispetto dei diritti civili. Le loro reazioni agli attentati sono deboli, ambigue, forti solo a parole nei casi più gravi, per non turbare chissà quali equilibri. Ormai anche i diritti civili sembrano diventati tabù.
Anche fra i cristiani pare esserci poca consapevolezza del problema, rassegnazione, e quindi poca solidarietà. Rara-mente nelle nostre chiese si prega per i fratelli perseguitati. Certo, Gesù ha detto “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20), ma in nessun caso queste parole possono diventare un alibi per i persecutori. è vero che per un cristiano il martirio è la massima prova d’amore a Dio, un carisma, ma non giustifica la persecuzione. Di Giuda Gesù ha detto: “Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato!”. “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11). Non è un incoraggiamento al persecutore, ma la consolazione offerta all’innocente perseguitato. Il comandamento di Gesù è: “Non fate agli altri quello che non vorreste che sia fatto a voi”. Quanto ai kamikaze è semplicemente vergognoso l’accostamento a Gesù: Lui ha accettato la morte per dare la vita, non per toglierla agli altri.