È IL MOMENTO DI PROVARE A COSTRUIRE

si torna sui banchi di scuola
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 23 Settembre 2018

“È utile un periodo di riflessione e una condivisione degli obiettivi con i dirigenti scolastici e i docenti stessi – affermano Marcello Bramati e Lorenzo Sanna, entrambi professori, scrittori e padri – così come è urgente un momento di ascolto necessario per il rilancio”.

Per chi suona la campanella? Per quasi nove milioni di studenti italiani, certo, ma non solo. Ricomincia la scuola, ma ricomincia per tutti. Per i genitori, per le famiglie, per chi scrive sui giornali, per chi siede in parlamento. Per l’insegnante che aspetta un rinnovo di contratto fermo da dieci anni e per quello spera che la parola dei classici, che insegna tutte le mattine, non sia sconfessata dai politici. Per chi vorrebbe una scuola meno burocratizzata e anche timorosa. Per chi, nelle zone di frontiera, combatte contro un mostro che si chiama abbandono scolastico. I dati sulla dispersione scolastica sono in crescita, quelli più recenti parlano di oltre cinquantamila studenti di scuola media e superiore che smettono ogni anno di frequentare. In alcune zone del Sud sono anche più alti: insuccessi, difficoltà economiche, disagio sociale spingono fuori dalle aule molti ragazzi in quella che è una vera e propria emergenza educativa nazionale. La scuola ricomincia per chi deve declinare nel concreto l’“inclusione”, una delle parole chiave della legge 107, la riforma della “buona scuola” che forse sarà smantellata. O forse no.

Inclusione culturale, educativa, progettuale, come spinta alla condivisione del progetto educativo tra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati operanti nel territorio. Con un occhio particolarmente vigile al bullismo. La scuola ricomincia anche per loro, Marcello Bramati e Lorenzo Sanna, entrambi professori, scrittori e padri. Sanna, 39 anni, insegna latino e greco in un liceo classico e scientifico di Milano, è tutor di studenti e famiglie, sposato con quattro figli. Bramati, 35 anni, è un insegnante milanese di liceo classico e scientifico, papà di Tancredi. Insieme hanno firmato due libri sottilmente provocatori: Basta studiare! (con prefazione di Alessandro D’Avenia) e Leggere per piacere – Come far crescere l’amore per i libri nei bambini dai 5 agli 11 anni, entrambi pubblicati da Sperling & Kupfer. L’impressione è che oggi la scuola italiana interessi più per i problemi che ha che per il servizio che offre. Giriamo la provocazione ai due professori: “La scuola va sui giornali per disfunzioni, condotte pericolose e spregiudicate, riforme contestate: molto difficile che una notizia riguardi un miglioramento ambientale, ammesso che ci sia. Certamente – rispondono – in questo frangente storico il ritmo della scuola è considerato lento, le conoscenze che offre la scuola datate, le competenze che si acquisiscono lontane dal mondo del lavoro, pertanto si individuano casi limite, magari legati alle battaglie politiche o alla cronaca nera. Non fa bene alla scuola essere sempre sotto i riflettori della cronaca scandalistica e sarebbe opportuno che i mezzi di comunicazione ritagliassero, per la scuola, spazio per accogliere un dibattito sulla sua utilità nel presente e nell’immediato futuro”.

Le energie vitali della scuola contro il declino della politica

Meno cronaca e più dibattito sul futuro. Ecco una delle questioni essenziali che la prima campanella mette o rimette in gioco. Secondo alcuni analisti, il declino della scuola si accompagna a quello della politica e una scuola che non forma il popolo di domani finisce per alimentare, involontariamente, il populismo. “Al di là di una considerazione politica – riflettono Sanna e Bramati – crediamo che alla scuola sia ben chiaro l’obiettivo a lungo termine, la formazione di giovani autonomi e responsabili; si tratta di valutare insieme alla politica quali sono i requisiti necessari perché tale obiettivo, fondamentale per la creazione dei futuri cittadini, possa essere raggiunto con la collaborazione attiva di tutte le componenti che costituiscono il tessuto scolastico, le famiglie, gli alunni e i docenti, ciascuno nel proprio ruolo determinato. Potrebbero essere proprio le energie ancora vitali della scuola e del suo associazionismo consapevole a contrastare il declino della politica”. Utopia? Forse no. A patto, però, di rivitalizzare ruolo e azione di insegnati e genitori, accusati da più parti di aver abdicato al proprio ruolo. “Non generalizzerei – obiettano – non c’è una categoria vittima e una colpevole, ci sono genitori che, stremati dall’adolescenza dei figli, lasciano che sia la vita, e quindi la scuola, a gestirli, ma allo stesso tempo ci sono insegnanti che giudicano le generazioni attuali (di alunni ma anche di genitori!) incorreggibili, pertanto si limitano a svolgere il proprio compito con il minimo sforzo”.

Per i due insegnanti non ci sono solo “educatori arresi ma – spiegano – genitori che hanno ancora la forza per dedicarsi pienamente ai figli e alla loro quotidianità, così come ci sono docenti che non intendono recedere su temi quali il rispetto tra pari, l’educazione in ogni frangente, la cura del particolare, il bello della scuola. È bene che i tanti educatori motivati abbiano la forza, ogni mattina, per rilanciare nel loro piccolo una alleanza educativa necessaria e da rifondare, con l’aiuto di tutti”.

Riforma è parola chiave della scuola degli ultimi cinquant’anni. Riforme effettivamente realizzate, rimaste a metà del guado, vagheggiate, minacciate, subite da alcuni settori del mondo scolastico. Quali hanno funzionato e quali no? Ne servono ancora? “La scuola – nella visione dei due professori -richiede tempi lunghi; lo sappiamo da genitori e docenti, dovrebbe saperlo anche il Ministero. Le riforme che si sono alternate in questo decennio hanno cambiato molto e nello stesso tempo hanno offerto molti spunti di lavoro interessanti, spesso frutto di una riflessione sul campo e di esigenze dal basso, per così dire. Cosa ha funzionato? Il riordino del sistema delle scuole superiori e dei licei. Quali innovazioni meriterebbero maggiore calma perché diventino realtà concrete e funzionali? I progetti di alternanza scuola e lavoro. È il momento ora di provare a costruire, rinunciando a rottamazioni di riforme precedenti e a nuove operazioni strutturali”.

La stabilità è un valore anche per il mondo scolastico

Bramati e Sanna hanno un’idea piuttosto chiara delle cose pratiche più urgenti da fare per ridare motivazioni agli insegnati e credibilità al sistema scolastico italiano: “È utile un periodo di riflessione e una condivisione degli obiettivi con i dirigenti scolastici e i docenti stessi – dicono – così come è urgente un momento di ascolto necessario per il rilancio. Proprio dall’ascolto dei docenti si potranno capire quali sono le dinamiche da rivedere o rinforzare. Il sistema scolastico italiano rimane credibile, così come l’offerta didattica eccellente e unica dei licei. Necessaria forse un’analisi dell’istruzione tecnica e professionale, dalla percezione di tali scuole nei genitori delle nuove generazioni alla riflessione sulla reale efficacia per l’inserimento nel mondo del lavoro”.

Sanna e Bramati invocano stabilità per il pianeta scuola. Troppe soluzioni temporanee senza analizzare le criticità che alla fine si rivelano per quello che sono: misure tampone, spesso dannose. “Una soluzione temporanea spiegano può andare bene per gestire una emergenza, ma certamente continuare a proporre cambiamenti nelle regole del gioco non aiuta. Voti di condotta, modalità dell’esame di stato, reclutamento dei docenti: senza entrare nel merito delle questioni appena elencate, quello che viene da suggerire è garantire stabilità, perché il sistema educativo deve poggiarsi su basi solide e non soggette a continui e incerti mutamenti, sperimentazioni e ritorni al passato. Un ragazzo che si iscrive in prima superiore è bene che affronti, cinque anni dopo, la maturità nella formula proposta quando ha iniziato le superiori”.

I due insegnanti hanno scritto un libro, Basta studiare!, che già dal titolo suona provocatorio. È un manifesto per l’abolizione dei compiti a casa, voti e debiti? Il titolo – spiegano – si presta a diverse interpretazioni: può essere il grido stanco di un ragazzo che non ha più voglia di studiare, in alternativa però c’è la soluzione di molti pomeriggi buttati, perché è sufficiente studiare per non rendere la scuola un incubo, ogni discussione un litigio, ogni momento in famiglia una crisi. Il nostro libro è a favore dello studio, organizzato e pianificato, e siamo convinti che la scuola debba fare parte della vita e non ne sia un limite. I voti sono indicatori indispensabili a scuola, certamente vanno interpretati e incrociati con molti altri elementi, come l’impressione dei genitori, la testimonianza del ragazzo, il dialogo con i professori. I compiti a casa sono un tempo quotidiano di studio individuale prezioso per imparare a gestire i nemici della concentrazione, un tavolo di lavoro, la tentazione di fare altro o di non fare bene”.

E se Sanna e Bramati diventassero ministri dell’Istruzione? A cosa metterebbero mano per prima? “Convocheremmo organi collegiali di confronto e lavoro con le diverse istituzioni scolastiche, con l’obiettivo di ascoltare e analizzare la situazione attuale; proveremmo a rilanciare dalla fondamentale e rinnovata alleanza educativa tra le scuole e le famiglie, nel rispetto dei ruoli e nell’ideazione di nuovi percorsi di vicinanza, confronto e lavoro comune, oltre quanto già presente e ora forse insufficiente. Ragioneremmo anche collegialmente sull’ipotesi della scuola superiore in quattro anni, nel solco di quanto già avviene nel resto dell’Europa”.

 

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