APRILE IN FESTA

By Gloria Danesi
Pubblicato il 1 Aprile 2020

Nel menù pasquale non può mancare l’agnello, nelle sue tante versioni. A San Salvo, invece, a fine mese si tiene la tradizionale festa delle Somee delle sagne con processione in onore del santo patrono

«Aprile dolce dormire» è un proverbio non veritiero per gli abruzzesi perché in questo mese di primavera risultano molto indaffarati, intenti a preparare i festeggiamenti in chiesa, in casa e in piazza per la santa Pasqua, per meglio onorare Cristo, immolato sulla croce e risorto. L’antico popolo di pastori si sente particolarmente coinvolto perché fa memoria del pastore per eccellenza che è al contempo agnello sacrificale.

Nel menù pasquale, dunque, è immancabile l’agnello. Queste le ricette tradizionali.

Coratella d’agnello: è un piatto dove rivive la storia della transumanza. Infatti il periodo pasquale coincideva con il ritorno delle greggi dalla Puglia e quindi erano disponibili gli agnelli lattonzoli, quelli con un mese di vita. Tra gli ingredienti di questa squisita pietanza troviamo le interiora dell’animale (polmone, fegato, cuore e animelle). Dopo aver fatto rosolare in olio di oliva, in un recipiente di terracotta, la cipolla, gli spicchi d’aglio schiacciati e l’alloro si aggiunge la carne spolverata con farina e sfumata con del Trebbiano d’Abruzzo e aceto. La ricetta raccomanda di servire su fette di pane raffermo abbrustolito la coratella ben calda.

Agnello brucialingua: la carne marinata e asciugata viene passata nella farina e fritta assieme con aglio e rosmarino. A cottura ultimata si aggiunge un bicchiere di vino bianco che deve evaporare a fuoco vivo. È un piatto da gustare molto caldo, come suggerisce il nome.

Agnello cace e ove: dopo aver rosolato in olio l’aglio schiacciato, viene aggiunta la carne a piccoli pezzi sfumando con vino bianco, prima della fine della cottura si uniscono le uova sbattute con pecorino stagionato e si mescola a fuoco lento.

Agnello e peperoni: la carne infarinata viene fatta rosolare in olio con aglio. Cottura a fuoco vivace con vino bianco, alloro, rosmarino, peperoncino tritato, pomodori pelati fatti a pezzi e listelle di peperoni dolci.

Agnello al cotturo: la carne viene posta nella tipica pentola di rame munita di coperchio ermetico e cucinata con grasso di maiale tagliato a dadini unitamente a peperoncini, salvia, alloro e un bicchiere d’acqua.

A fine aprile, in occasione della festa di San Vitale, si tiene a San Salvo (Ch) la Festa delle Some, la tradizione delle Some e delle sagne in onore del santo patrono. È un rituale che si fa risalire al 1745, data dell’arrivo da Roma delle reliquie donate dal cardinale Pier Luigi Carafa. Già dai primi giorni del mese l’intero paese è in fermento per la raccolta del grano che, molito, viene riposto nelle some, ovvero i sacchi per la farina utilizzata per la preparazione dei famosi Taralli di San Vitale.

Un composito e variopinto corteo un tempo formato di carri e animali, oggi di trattori, percorre le vie del paese tra ali di folla e raggiunge il mulino per la macinazione. Poi torna indietro con la farina. Il sabato antecedente la festa, a conclusione della sfilata e dopo la benedizione, viene allestito l’attesissimo pranzo in piazza a base di “sagne” piatto tipico di pasta fatta in casa, lavorata e tagliata a sfoglia.

Sul perché del connubio di “sagne & taralli” due le versioni: una racconta che le prime nascono come pasto offerto ai conduttori dei cavalli quando questi portavano il grano (le some) al mulino comunale Pantanella, mentre i secondi stanno a ricordare il pranzo offerto al popolo; l’altra versione, invece, racconta che siano proprio “le sagne” l’eredità di quel pranzo e che i “taralli” costituiscano il pane quale ricompensa per il lavoro ben effettuato. Le massaie volontarie, devote del santo, stendono a mano la pasta utilizzando “l’cannilli” (mattarelli con dimensioni maggiori rispetto ai soliti). Il risultato sono le maxi sfoglie di circa 70/80 cm di diametro, con uno spessore di circa un paio di millimetri. La stesura e il taglio di mani diverse rendono la pasta non uniforme, concorrendo a esaltare il sapore del sugo costituito da un ragù piuttosto leggero, prevista una spolverata di formaggio grattugiato.

Sono oltre 10 mila i taralli che ogni anno vengono preparati in tre giorni. La ricetta classica è piuttosto semplice: acqua, farina e olio. Curiosa, inoltre, è la tradizionale “pipizzera”, artistica composizione realizzata con pagnottelle di pane azzimo, portata in giro per il paese.

L’Abruzzo: tarallucci, vino e molto altro.

Comments are closed.