UNA REGOLA SEMPRE ATTUALE…

By Bruno Scarano
Pubblicato il 17 Maggio 2015

Per una volta a occupare lo spazio di questa rubrica non sono i prodotti bancari, né gli strumenti finanziari, tanto meno norme, leggi economiche o decreti attuativi. Vorremmo fare un tentativo, spostare cioè il discorso “più in alto” parlando della Regola di san Benedetto. Questo perché c’è  un estremo bisogno di mettere al centro del nostro agire la persona umana. L’economia, infatti, ripartirà se saprà cogliere nell’uomo quelle risorse preziose e utili per l’intera comunità. Oggi assistiamo, o meglio, subiamo una serie di modelli di economia che toglie la dignità all’uomo, lo mortifica, lo abbrutisce. E il tutto è giustificato in ragione di un solo obiettivo: il profitto. E in questa direzione non si va molto lontano…

Di contro, per fortuna, ci sono sempre più studiosi che nel mondo dedicano le proprie energie e le loro ricerche per approfondire sia il testo prezioso della Regola benedettina, sia le sue applicazioni che hanno consentito nei secoli di far migliorare la qualità della vita. Tra questi, non sono pochi quelli che ritengono che sia un testo che vada oltre la dimensione religiosa. Infatti è ritenuta una guida metodologica che aiuta a mettere ordine nella vita delle persone e delle comunità, vedi aziende, imprese, famiglie, network e così via.

Il documento Regula Benedicti scritto da san Benedetto nell’abbazia di Montecassino nel 530 d.C., consta di un prologo e da 63 capitoli, anche se per ammissione dello stesso autore è stato definito “una piccolissima Regola per principianti con la quale è possibile raggiungere finalmente le più alte vette di dottrina e di virtù”. Il testo ha consentito di avviare e alimentare un inesorabile circolo virtuoso in grado di cambiare sia il corso della storia e dell’economia, sia il concetto stesso di lavoro.

Crediamo che la tentazione più forte sia quella di considerare questo documento come un trattato di teologia, bensì è una guida di sapienza per l’uomo di sempre – compreso quello di oggi – che è in crisi d’identità. Si tratta di un testo che oltrepassa le mura monastiche, ma che vive nelle organizzazioni gestite con saggezza e lungimiranza. Le tre virtù principali fissate dal-la Regola per il processo di miglioramento che devono essere prime riconosciute, assimilate e poi esercitate sono:

L’obbedienza, che è mettersi in ascolto, in piedi, e pronti ad agire secondo saggezza e conoscenza (ovvero le competenze);

Il silenzio, che non è un vuoto mentale o l’assenza di proposte, ma il momento e il modo che le fa maturare. Collegate al silenzio, e funzionale a esso, ci sono la sobrietà e la proprietà di linguaggio;

L’umiltà, che è un sentirsi permanentemente vicino alla terra (humus) cioè vicini ai problemi e attenti alle realtà quotidiane. L’acquisizione di questa virtù consente di avere la reale percezione della propria fallibilità e della propria fragilità in ogni situazione.

Sì, ancora oggi, possiamo ben affermare dopo quindici secoli che il modello organizzativo tracciato da san Benedetto da Norcia nella Regola non sia assolutamente un “pezzo d’antiquariato”, ma sia ancora efficace e applicabile nelle imprese e nelle organizzazioni. Ricordo che ai monaci benedettini dobbiamo l’invenzione e soluzioni tecnologiche. Pensiamo ai mulini ad acqua e a vento; la bussola; l’aratro; l’altoforno, le tecniche di costruzioni delle cattedrali e dei monasteri e tante altre cose nuove. A loro si devono le parole e forme come: Avere voce in capitolo, tutti i salmi finiscono in gloria, l’ozio è il padre dei vizi, dare tempo al tempo, il lavoro nobilita l’uomo, e anche termini nuovi come rubrica, scomunica, breakfast, grissino, biscotto e via dicendo.

Dice Anselm Grum padre benedettino tedesco: “Benedetto ha nettamente scandito la giornata e perché tutto debba farsi nelle ore prescritte. L’ordinata sequenza della giornata (sette ore per pregare, sette ore per lavorare e sette ore per riposare) serve alla pace della comunità e di singoli. Nessuno deve essere turbato o rattristato. Se c’è troppa confusione e disordine, se uno non può far conto su niente, allora cresce in noi la svogliatezza. Non abbiamo più nessuna motivazione per dedicarci al lavoro o fare qualcosa per la comunità”.

Il rischio che corriamo oggi è che i membri, o meglio, i registi dell’attuale gestione dell’Unione Europea, concentrino le loro attenzioni quasi esclusivamente all’economia e alla finanza. Sembra quasi che per le burocrazie europee non esistono più né le persone, né i cittadini, ma solo i consumatori. Non sembrano meritevoli di attenzione nemmeno i lavoratori, considerati essenzialmente come forza lavoro e considerati una merce intercambiabile, grazie all’adozione di soluzioni delocalizzate sempre più vantaggiose ed economiche.

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