UNO SPECCHIO PER CONTEMPLARE DIO
Sappiamo quanto si è discusso durante la celebrazione del Vaticano II sullo spinoso tema dei rapporti tra sacra scrittura e tradizione. All’inizio si era partiti parlando di due fonti distinte della divina rivelazione e sembrò che fosse pressoché impossibile approdare a un accordo. Alla fine, dopo confronti e scontri micidiali, si è approdati a una visione unitaria, grazie anche al contributo di alcuni esperti teologi, che hanno potuto esprimere il loro parere e alla fine vederlo accettato pacificamente dai padri conciliari.
1. Il concetto di verità salvifica
Per acquisire una visione serena e sicura di questa problematica è necessario rileggere con attenzione un passaggio del n.11 di questa costituzione, là dove si legge che “i libri della scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere”. È estremamente importante soppesare ognuna di queste espressioni perché esse sono il frutto maturo e gustoso di tante discussioni. Anzitutto rileviamo il singolare “la verità” e non il plurale: per indicare che la rivelazione di Dio può e deve essere considerata come un tutt’uno.
Poi rileviamo che nella scrittura è da ritenere vero non indiscriminatamente tutto quello che in essa si legge, ma sempre e solo quello che Dio ha voluto rivelare per la nostra salvezza. In altri termini tutto e solo ciò che riguarda il mistero della nostra salvezza. In questo modo i padri conciliari hanno raggiunto una meta di eccezionale importanza. Ci hanno regalato un principio ermeneutico importantissimo, con il quale possiamo superare tante difficoltà interpretative che ci hanno accompagnato per troppo tempo.
2. L’ininterrotta catena dei testimoni
“Gli apostoli poi, affinché il vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella chiesa, lasciarono come successori i vescovi, ad essi affidando il loro proprio posto di magistero”.
A servizio della scrittura e della tradizione i padri conciliari mettono il magistero della chiesa. Di esso dicono anzitutto che “non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone. E da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio” (DV 10).
Ecco in che modo noi dobbiamo relazionarci ai vescovi in quanto successori degli apostoli. Essi non sono dei superuomini, da venerare e forse anche da tenere a una certa distanza, ma sono semplicemente servitori della divina rivelazione. Prima di servire la parola il vescovo la deve ascoltare: anzi, potrà servirla nella misura in cui l’avrà ascoltata.
3. Lo specchio per contemplare Dio
“Questa sacra tradizione dunque e la sacra scrittura dell’uno e dell’altro testamento sono come uno specchio nel quale la chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve finché giunga a vederlo faccia a faccia com’è”.
L’immagine dello specchio merita di essere considerata con una certa attenzione: essa ci induce anzitutto a pensare che, per quanti sforzi possiamo fare, Dio rimane sempre il tutt’altro, l’inarrivabile. Già nel primo testamento si riteneva che Dio non poteva essere visto se non di spalle: un modo molto semplice per affermare la sua alterità.
Ma questa immagine ci induce anche a pensare che di Dio possiamo farci un’idea non falsa, soprattutto per il dono che ci è stato affidato delle sacre scritture. Attraverso i due testamenti possiamo certamente pensare Dio senza illusioni, parlare a Dio senza intermediari, trattare con Dio come con un amico.
Dalle profezie di Isaia
Come la pioggia e la neve scendono dal cielo / e non vi ritornano senza aver irrigato la terra / senza averla fecondata e fatta germogliare / perché dia il seme a chi semina / e il pane a chi mangia / così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca / non ritornerà a me senza effetto / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
Isaia 55,10-11
La forza educativa del vangelo
Sono convinto che molti insuccessi educativi hanno la loro radice nel non aver capito che Dio educa il suo popolo, nel non aver colto la forza del programma educativo espresso nelle scritture, nel non esserci alleati col vero educatore della persona. D’altro canto sono convinto che una fiducia rinnovata nella forza educativa del vangelo può ridare fiato a molti educatori.
Cardinale Carlo Maria Martini