UN PIACERE ASCOLTARLO

By Nandino Di Eugenio
Pubblicato il 4 Luglio 2020

La vita in convento, quando Gabriele vi entra a 18 anni nel 1856, è scandita da un orario molto dettagliato e preciso che indica i vari atti da compiere durante la giornata. L’orario prevede non soltanto preghiera, studio e penitenza, ma anche momenti di sollievo nei quali Gabriele può uscire all’aria aperta, parlare con i confratelli, passeggiare per il giardino, contemplare la natura. Ma se ti avvicini al grappolo dei giovani religiosi ancora studenti che conversano tra loro, non li senti davvero gridare, né li senti dibattere questioni peregrine.

Oggetto dei loro discorsi sono abitualmente argomenti spirituali. Gabriele soprattutto “non sopporta discorsi inutili”. Se qualcuno li introduce, lui dice “francamente di lasciarli, e parlare di cose buone”, oppure con “singolare destrezza e arte” porta il discorso su un altro binario. I compagni al solo al vederlo avvicinarsi sintonizzano il loro dialogo con il suo desiderio. Gabriele infatti, ci assicura il suo direttore padre Norberto Cassinelli, ha un grande ascendente su di loro. Lui si crede l’ultimo, ma i compagni lo venerano.

Quando poi è lui a parlare, è un piacere ascoltarlo; lo è per le cose che dice e per come le dice. Scriverà il suo direttore: “Gabriele era per natura assai discorsivo, ma di un discorrere familiare sì, ma ordinato e sempre condito di grazia in modo che si faceva sentire volentieri. Era nel parlare grazioso ma non affettato; sapeva a tempo e luogo infiorare il discorso con qualche facezia, con qualche naturalissima arguzia, con qualche bellissima lepidezza. In ciò aveva avuto un dono speciale”.

Ma di che cosa parla Gabriele? I confratelli attestano che la sua conversazione è testimonianza e frutto di quella ricchezza spirituale che gli riempie il cuore. Parla soprattutto di Dio, della Madonna e della Madonna Addolorata in particolare; parla dell’inestimabile dono della vocazione religiosa e del dovere di essere santi. E lo fa “con tal possesso, vivacità e gusto” che convince e commuove. Ne parla ogni giorno. Anche il tempo dello svago, secondo Gabriele, è prezioso per santificarsi, e lui non ne vuole sciupare neppure un frammento. E lo insinua dolcemente anche ai confratelli. Parla degli argomenti a lui cari senza stancarsi e, quello che è più sorprendente, senza stancare, pur essendo “copioso e insaziabile”. Ricorderanno: “Trattare con lui non stancava mai e la sua compagnia dava piacere e sollievo. Era affabile, amorevole, cordiale, gioviale e sobriamente faceto. Lasciava acceso chi lo sentiva”.

A lui sembra povero e misero quello che dice in confronto a quello che gli brucia dentro e che vorrebbe dire. La lingua non tiene certo il passo del cuore. Ha l’impressione di balbettare come un bambino… Agli altri invece pare un fiume inarrestabile. “Ma non si stanca mai?”, gli chiedono un giorno. E lui con incantevole soavità e sorprendendo tutti: “Che volete!… Io sono immortificato”. “Ammirabile per il suo candore, amabilissimo per la sua soavità”, i confratelli lo ascoltano attenti e pendono stupefatti dalle sue labbra perché sanno che è sincero e altro non fa che comunicare una esperienza da lui gaudiosamente vissuta. Le sue parole si adagiano dolcemente sul loro cuore risvegliando e rafforzando aneliti santi.

Se poi sono gli altri a toccare argomenti spirituali, Gabriele sembra incendiarsi. E si stempera nel dialogo “con un fuoco, un fervore, una compiacenza, una insinuazione che anche i meno disposti” ne sono edificati e conquistati. E per sentire lui, maestro impareggiabile e inesauribile, tutti ammutoliscono.

Ammutoliscono e avvertono in sé qualcosa di indefinibile e di indecifrabile che va dall’imbarazzo e dal rammarico per essere loro così freddi spiritualmente e così lontani da lui, al vivo desiderio di imitarlo. E nasce in tutti il proposito di essere migliori.

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