UN MORETTO CON OCCHIO VIVO
Posare lo sguardo sulla foto di una persona cara risveglia nella mente tanti ricordi e affoga il cuore in un mare di emozioni. Forse ai devoti di san Gabriele sarà negata per sempre la gioia di conoscere e ammirare il volto del santo. Il loro legittimo desiderio, segno di affetto, resterà con ogni probabilità soltanto un bel sogno.
Di lui, infatti, non abbiamo alcuna fotografia né alcun ritratto dal vivo: erano cose troppo rare al suo tempo. Gabriele, ci dice il fratello Michele, esprime un giorno il desiderio di farsi una foto: si risponde evasivamente rimandando tutto al futuro. Un futuro, purtroppo, mai arrivato. Almeno per quanto ne sappiamo fino a oggi. Resta sempre viva però una tenue speranza che un giorno si possa trovare qualche fotografia delle classi che studiavano nel collegio dei gesuiti a Spoleto frequentato anche da Gabriele. E tra i volti degli alunni scoprirvi anche il suo.
Ma intanto il nostro desiderio di contemplare quel volto è troppo grande, per cui non vi rinunziamo. Tentiamo quindi di abbozzare la figura di Gabriele seguendo le testimonianze delle persone che lo hanno conosciuto e sono vissute con lui. Lasciamo poi alla creatività e all’intelligenza di ognuno di tracciarvi l’ultimo dettaglio perché il ritratto risulti nitido e preciso, fedele e attraente.
Lo dicono alquanto delicato e gracile tanto che qualcuno lo pensava incapace di sopportare le esigenze dell’austera vita passionista. Lo descrivono armonioso nei lineamenti, elegante e ricercato nel vestire. Slanciato e agile, alto metri 1,70 circa. Fronte leggermente spaziosa, viso piuttosto tondo. Le labbra non molto rialzate e di un colore rosso vivo. Capelli folti e castani coltivati secondo la moda, con cura particolare per il ciuffo. Da religioso gli resterà una naturale divisione dei capelli quasi al centro e conserverà più scoperta la parte superiore della fronte. Il naso lievemente inclinato a sinistra e con una cicatrice: ricordo di una brutta caduta durante una battuta di caccia e di una frattura rimediata da bambino mentre, giocando in casa, rincorre il fratello Enrico che per non essere raggiunto chiude improvvisamente la porta alle sue spalle. La corsa di Gabriele si arresta bruscamente, come pure bruscamente diventa pianto dirotto la sua allegria.
Michele descrive così l’amatissimo fratello: “Era di carnagione bruna, colorito, con occhio vivo, castagno scuro, un moretto grazioso; era bello di forme. Poi divenne pallido a cagione delle penitenze e delle infermità”. La malattia gli rende il volto pallido, ma non gli toglie il sorriso; i due occhi tondi e piccoli resteranno eloquenti ed espressivi anche quando Gabriele, ormai malato, cammina veloce verso la morte.
E padre Norberto, il suo direttore spirituale, dopo molto tempo ricorda con tono dolce e affettuoso: “Il mio Gabriele aveva gli occhi neri, assai vivaci, pieni di attrattiva; sembravano due stelle ed erano bellissimi. Il volto era tondino con un sorriso naturale e perenne. Era veramente bello nell’anima e nel corpo”. Chissà quante volte padre Norberto, nonostante il passare degli anni, si sarà sorpreso a contemplare estasiato e commosso quegli occhi e quel volto; e ripensando al suo Gabriele avrà pianto di struggente nostalgia.
Anche il nostro Gabriele è così: bello, sorridente, con quegli occhi vivi che sono uno squarcio di cielo. E noi non possiamo non volergli bene.