MAGISTRATURA E POLITICA

By Nicola Guiso
Pubblicato il 31 Maggio 2016

L’avevamo previsto nell’ultima nota: la questione del rapporto magistratura-politica è diventato centrale nel confronto elettorale in corso, ma soprattutto in vista del referendum costituzionale di ottobre. Perché se in esso prevalesse il “Nò” (e trattandosi di referendum “confermativo” del voto in parlamento delle riforme non è richiesto il “quorum” del 50,01 per cento di votanti aventi diritto) potrebbe segnare la fine politica di Renzi, come il segretario del Pd e presidente del Consiglio ha più volte affermato.

Il rapporto magistratura-politica è, comunque, una questione di importanza vitale per i cittadini. Perché la loro libertà e una sana democrazia sono garantite solo dalla reale separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario dello stato. Poi perché ha sempre valore essenziale questa affermazione di Piero Calamandrei – una delle più alte espressioni della cultura giuridica e politica antifascista in cui ha radice la nostra Costituzione -: “Il magistrato che è salito sulla tribuna di un comizio elettorale a sostenere idee di un partito, non potrà sperare mai più, come giudice, di avere la fiducia degli appartenenti al partito avversario”. Il richiamo al potenziale politico del referendum di ottobre e all’affermazione di Calamandrei sono evidenti se consideriamo, sia pure in sintesi estrema, alcuni fatti degli ultimi mesi. Il primo è la decisione delle due correnti di sinistra dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), Magistratura democratica (Md) e Area, di aderire ai “Comitati per il ” in vista di quel referendum. Una decisione rafforzata dalle dichiarazioni rilasciate al Foglio dal giudice Morosini, membro del Consiglio superiore della magistratura (Csm), organo che esprime in costituzione (articolo 104), e di cui è presidente il capo dello stato, l’autonomia e i poteri della magistratura. Il secondo fatto è che la presa di posizione di Md e di Area e quella di Morosini hanno immediatamente suscitato – controllate nella forma ma aspre nella sostanza – le reazioni del ministro della Giustizia Orlando, del presidente della Cassazione Canzio, del responsabile giustizia del Pd Ermini e, soprattutto, del vice presidente del Csm Legnini, Pd della corrente renziana. Considerate le affermazioni di Calamandrei, tali reazioni sarebbero comprensibili. Ma diventano problematiche e, tutto sommato, sospette, perché nel 2006 Md, in occasione del referendum confermativo della riforma costituzionale del centro-destra approvata dal parlamento, si schierò apertamente contro; e altrettanto fece sulla legge per l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Ma nessuno, e tanto meno i vice presidenti di allora del Csm, mossero obiezioni a quelle decisioni di Md. Per concludere: È vero che l’attuale presa di posizione delle due correnti di sinistra dell’Anm in vista del referendum di ottobre ripropone, in modo incontestabile, la delicata e complessa questione dei diritti e dei limiti dei magistrati di esprimere giudizi su atti di rilievo che toccano poteri e responsabilità del parlamento e del governo. Ma è altrettanto vero che contenuti e forma delle repliche alla decisione di Md e di Area da parte di alti e qualificati esponenti della magistratura, del Csm, del governo e del partito di maggioranza in Parlamento, esprimono un’altrettanto pericolosa tendenza di usare, per fini di parte, una questione (il corretto rapporto tra politica e magistratura) che era, e resta, tra quelle che devono essere affrontate e risolte con alto senso di responsabilità da tutte le parti in causa. Perché si tratta di questione – lo diciamo senza un filo di retorica – che riguarda il futuro della democrazia in Italia. E a tutte le parti in causa chiede costantemente quel tipo di impegno altamente responsabile il capo dello stato, con l’intelligenza e l’autorevolezza che gli derivano dalla grande esperienza politica e dall’alta cultura giuridica, che l’avevano portato alla elezione a membro del Csm.

Comments are closed.