MA NEL FRATTEMPO?

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 26 Febbraio 2021

E nel frattempo? Era la domanda che Umberto Eco, provocatoriamente, pose all’indomani dell’attentato di New York alle Torri Gemelle. Una domanda scaturita dalla constatazione che tutti i mezzi di comunicazione mondiali, da giorni e mesi, dedicavano tutti i loro possibili spazi all’avvenimento. Lo scrittore, grande studioso del mondo della comunicazione, poneva la questione degli altri fatti completamente oscurati dall’attentato. Nessun altro fatto, sia pure – com’era inevitabile – di portata meno drammatica, sotto il profilo di impatto sull’opinione pubblica, era stato più preso in considerazione. Eppure le cose che accadevano prima non avevano smesso di accadere.

Una domanda che potremmo applicare, pari pari, alla situazione che si è determinata nel mondo con la pandemia Covid. Nel frattempo che sta accadendo per i malati cronici, per quelli colpiti da malattie gravi, da neoplasie, quelli malati di cuore che non possono essere più curati, come prima della pandemia, nelle strutture sanitarie adeguate? Strutture pressoché sature di malati di Covid, impossibili da poter frequentare, con l’assiduità che le terapie richiederebbero, per paura di contrarre il virus. Che cosa sta accadendo a loro, come se la passano? Sicuramente peggio. Ma tale peggioramento è più marcato in quelle regioni dove la sanità ante-Covid non è che raggiungesse livelli assistenziali eccellenti, anzi. Uno studio recente dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani (Cpi) ha dimostrato che nel corso degli anni sono state le regioni del Nord ad aver goduto degli incrementi maggiori nel riparto del Fondo sanitario regionale. L’Abruzzo, ad esempio, dal 2000 al 2017, ha ricevuto 33 euro per ogni abitante, a fronte della Valle d’Aosta che ne ha ricevuti quasi 90 e dell’Emilia Romagna (84,5 euro), della Toscana (77 euro), del Veneto (61,3 euro), Friuli Venezia Giulia (quasi 50 euro) e via di questo passo. Peggio dell’Abruzzo le altre regioni del Sud: Campania, Puglia, Molise, Calabria. E come se non bastasse, a questa sperequazione nella ripartizione dei fondi sanitari che, evidentemente, si ripercuote sui livelli assistenziali – al netto delle incapacità politiche – va sommato un assessore alla Sanità di una delle regioni più ricche d’Italia per proporre la distribuzione dei vaccini sulla base del prodotto interno lordo delle regioni. Più ricco sei più vaccini avrai. Possibile, direte voi. Nel frattempo è accaduto anche questo.

Ma proviamo un attimo a ragionare sui parametri che vengono presi in considerazione nella ripartizione dei fondi per la sanità. Il criterio principe che sottostà a questa ripartizione è quello della popolazione e quindi in base all’età anagrafica. Dove l’età media è più alta arrivano più soldi. E tutto il resto? Per esempio l’incidenza di patologie infantili e giovanili (obesità, problemi alimentari, alcolismo, tossicodipendenze), ma anche gli svantaggi in termini di istruzione, lavoro, abitazioni, condizioni familiari. Insomma, tutto quello che in sociologia viene definito “deprivazione sociale”. Quanto incidono queste condizioni sulla salute pubblica? Molto. Lo conferma la letteratura medica: sulla domanda di cure e, dunque, sui costi per il sistema sanitario locale, questi fattori incidono pesantemente. Ma nel frattempo…

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