IL FUTURO DELL’EUROPA IN QUATTRO ELEZIONI

non sarà la “svolta buona”
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Febbraio 2017

Non saranno mesi tranquilli per la comunità europea che dovrà confrontarsi, fra l’altro, con il riemergente problema del popolo greco, il quale ritiene di aver tirato la cinghia dell’austerità sino all’ultimo buco e sostiene di non farcela più. Quella del 2017 non sarà la “svolta buona”. L’anno appena cominciato si caratterizza con una serie di tensioni, in parte ereditate dal 2016, che non riusciranno a compensare la prevista “ripresina” economica mondiale destinata, come di consueto, ad andare a vantaggio dei sempre più ricchi e delle multinazionali. In Europa almeno quattro eventi elettorali sono destinati a mettere in fibrillazione il cuore del continente.Le presidenziali francesi sanciranno con molta probabilità il passaggio dell’Eliseo da un socialista a un conservatore. Tuttavia ogni riserva è d’obbligo, considerando come le cose, con scarti addirittura clamorosi rispetto alle previsioni, sono andate in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Italia; ma anche in Austria e in Ungheria. La sorpresa francese sarebbe data da un successo, sul quale comunque pochi scommettono, del Fronte Nazionale, ancorché accreditato di un arrivo al ballottaggio. L’attuale esponente della destra moderata, François Fillon, che ha sbaragliato gli avversari alle primarie, ha tutte le probabilità di farcela, magari aiutato in extremis dalla donazione di sangue della sinistra (il partito socialista è considerato fuori gioco nella partita per la presidenza) con il cosiddetto “riflesso repubblicano” per non far vincere – è accaduto in passato – il neofascismo, oggi etichettato come  populismo, di Marine Le Pen.

La consultazione olandese è più in bilico, considerando il riflesso xenofobo (in sé anticristiano, non soltanto anti islamico come lo si vuol far passare) di una parte dell’elettorato: un successo dell’estremismo di destra avrebbe conseguenze negative, se non altro di natura psicologica, anche sul piano europeo, essendo i Paesi Bassi uno dei soci fondatori della Comunità, ma anche perché si propone di rinunciare alla moneta comune, l’euro. Le elezioni politiche italiane sono da scriversi con il punto interrogativo: con il “se”, il “quando” e il “come” della loro tenuta e l’ipotesi dei risultati. In ogni caso si tratterà di un avvenimento sul quale correranno fiumi d’inchiostro e i cui riflessi non saranno senza conseguenze sul piano europeo.

Infine la Germania e il rinnovo del parlamento a fine estate. Considerata un pilastro della stabilità non soltanto dell’Unione Europea ma del mondo, su di lei sono puntati gli occhi, i timori e le speranze internazionali. Va sempre ricordato che, storicamente, la pace e la guerra passano per Berlino e che un crollo del sistema del sistema di equilibri che la reggono può avere conseguenza inimmaginabili per tutti. Ma, al di là da episodi di violenza e di intolleranza ai quali i media sono giustificati a dare il dovuto risalto, sembra che fortunatamente l’opinione pubblica sia molto più tranquilla di come la si rappresenta: per nutrire un certo ottimismo sulla tenuta globale del paese e sul suo rifiuto degli estremisti, anche qui identificati nei movimenti, populisti, è sufficiente considerare le testimonianze di generosità globale del popolo tedesco nell’attuale momento storico, con cifre e dati sulla solidarietà offerta in particolare alle vittime dell’anomala ondata immigratoria.

Per quanto riguarda ancora l’Europa, archiviata la pratica turca della trattativa per l’ingresso nell’Unione a causa di palesi, ripetute e inaccettabili violazioni da parte del potere ad Ankara dei principi fondamentali che reggono l’UE, resta in piedi il nodo del negoziato per le condizioni di uscita della Gran Bretagna dall’Europa, dopo il voto popolare dello scorso giugno. L’opinione comune è che si trascinerà a lungo e avrà negative ricadute economiche per le due parti, in particolare quella britannica; inoltre porrà problemi interni di qualche rilievo al governo di Londra, considerando il malumore di scozzesi e irlandesi per l’uscita dell’Europa – dove le loro maggioranze avrebbero voluto rimanere – e la minaccia di referendum per una secessione dal Regno Unito e la permanenza, come stati indipendenti, nell’Unione.

Per tutte queste ragioni non saranno mesi tranquilli per la comunità europea che dovrà confrontarsi, fra l’altro, con il riemergente problema del popolo greco, il quale ritiene di aver tirato la cinghia dell’austerità sino all’ultimo buco e sostiene di non farcela più. Non sarà inutile ricordare che la Grecia è uno dei paesi più provati dal flusso dei migranti, a differenza di altri che hanno sbarrato le frontiere e innalzato muri (per non fare nomi, l’Ungheria, l’Austria, la Slovacchia) senza partecipare ai sacrifici comuni.

L’Unione non ha, come da sempre sostiene l’Italia, una convincente politica dei rifugiati. I provvedimenti approvati in passato (quelli, per esempio, sulla redistribuzione dei richiedenti asilo) sono stati disattesi, da parte di qualcuno dei non adempienti addirittura con arroganza. Si comincia appena a muovere qualche pedina attraverso la necessaria strategia degli accordi con i paesi dai quali provengono i migranti, una strategia che risponde non soltanto a criteri politici ma anche a ragioni etiche, iscritte nella logica da cui l’Europa è nata.

Un’Europa oggi sospesa anche alle iniziative del nuovo presidente americano Donald Trump, iniziative delle quali non si può ancora stendere una narrazione prevedibile se non nella sconsolata costatazione (guardando appena alla squadra di governo) di una politica che non ha il proprio obiettivo primario nella solidarietà sociale.

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