RICOMINCIARE DAI GIOVANI

By Gianni Di Santo
Pubblicato il 3 Marzo 2013

 “Il loro passeggiare per le strade con l’orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche – sottolinea il cardinale Gianfranco Ravasi – segnala che sono ‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica e religiosa che abbiamo creato noi adulti”.

Igiovani. Come le donne. E come la stragrande maggioranza dei laici che desidera essere capita di più dalla chiesa nel loro vivere la fede e coniugarla con l’impegno civile e sociale nelle parrocchie e negli organismi ecclesiali. Perché, in fondo, il Concilio Vaticano II sul tema della condivisione e corresponsabilità dei laici deve ancora farne molta di strada. Ricominciare dai giovani. O meglio: rottamare la vecchia concezione che si ha dell’impegno laicale, fondata sull’adultità della fede e su una sua maturazione spirituale che regala, a volte dispensa, cariche e responsabilità ecclesiali.
Parole forti, usate dal cardinale Gianfranco Ravasi, a margine dell’assemblea plenaria annuale del pontificio consiglio della Cultura dedicata al tema: Culture giovanili emergenti, che si è svolta nei primi giorni di febbraio. Qualcuno, i più riottosi a lasciarsi stimolare dalle novità, dirà che il cardinale Ravasi è un pastore tra i più “aperti” in circolazione, e di grande fascino comunicativo. Normale che dica lui certe cose. Ma resta il fatto che le sue parole vanno in una direzione di maggior dialogo con tutto ciò che è nuovo ed “evangelicamente” stimolante. Non sono state le idee nuove, pensate da teologi giovanissimi, uno dei frutti migliori del Concilio Vaticano II? “Il loro passeggiare per le strade con l’orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche – sono sempre le parole di Ravasi rivolgendosi proprio ai giovani – segnala che sono ’sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti. In un certo senso calano una visiera per autoescludersi anche perché noi li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità. E qui dovrebbe affiorare un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente. La diversità dei giovani, infatti, non è solo negativa ma contiene semi sorprendenti di fecondità e autenticità. Pensiamo alla scelta per il volontariato da parte di un largo orizzonte di giovani, pensiamo alla loro passione per la musica, per lo sport, per l’amicizia, che è un modo per dirci che l’uomo non vive di solo pane; pensiamo alla loro originale spiritualità, sincerità, libertà nascosta sotto una coltre di apparente indifferenza”.

“Li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza; l’uomo non vive di solo pane”. Una presa di coscienza da parte di un organismo importante della chiesa cattolica che non ha paura di mettersi in discussione. Parole forti per scelte altrettanto significative che la chiesa non potrà non porsi nel prossimo futuro. Dei cinque miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo più della metà sono minori di 25 anni (l’85% dei giovani di tutto il mondo): le statistiche, a volte, sono impietose. I giovani sono il futuro dell’umanità. E della chiesa.

Possiamo allora interessarci a loro in maniera più coinvolgente? Senza giudicare, o indicare percorsi buoni solo per la fascia adulta della popolazione? L’Orga-nizzazione internazionale del lavoro stima che 73,8 milioni di giovani nel mondo sono disoccupati e fino al 2014 se ne prevede mezzo milione in più. E che faranno i giovani: avranno paura del futuro? Scen-deranno in piazza? Vivranno una nuova primavera grazie anche all’ausilio del mondo digitale? Tutte questioni che richiedono un discernimento da parte della chiesa e un profondo cambiamento di linguaggio, insieme alla creazione di codici dove la visione cristiana sia significativa. Per andare oltre le analisi sociologiche e arrivare anche il tema dell’alfabeto emotivo dei giovani, esaminando i temi del valore del corpo, le reti di amicizie e il ritardo dell’autonomia.

Capire i giovani è una battaglia culturale. Anche oltretevere, pare se ne siano accorti. “Creare condizioni che rendono possibile l’incontro con la persona di Cristo – ha detto il vescovo Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato del dicastero della Cultura – richiede un approccio culturale, oltre a quello pastorale e teologico. Bisogna comprendere la fatica e tante volte l’insuccesso delle prassi ecclesiali, che scava il fossato tra giovani e chiesa. Anche nella fede c’è bassa natalità. La generazione degli adulti o non sa come o non ha spazio per curare la propria fede e generare nella fede”.

Per l’occasione il presidente del pontificio consiglio della Cultura ha aperto un dialogo con il mondo dei giovani tramite twitter e l’hashtag #Reply2Ravasi (gestito in collaborazione con padre Enzo For-tunato, portavoce del sacro convento di Assisi) dove è stato possibile inviare le proprie domande e osservazioni sulle culture giovanili emergenti.

Insomma, ricominciare da lì. Dalle coscienze pulite di chi non ha nulla da vergognarsi per i disastri etici che la generazione adulta ha combinato al “loro” mondo. Ricominciare da lì. Per una chiesa che dalla parola sa scaturire parole belle, giovani, vivaci. E profetiche.

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