la pena di morte sul viale del tramonto

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 2 Febbraio 2013

La “vendetta istituzionalizzata” della pena di morte si sta incamminando, anche se lentamente, sul viale del tramonto. Alle Nazioni Unite il 20 dicembre scorso 111 paesi (dei 194 membri dell’Onu) nell’apposita commissione hanno approvato una moratoria sulle pene capitali – in attesa di trasformarla in vera e propria abrogazione – e soltanto 41 hanno votato contro, con 34 astenuti. Ma il numero degli abolizionisti, di fatto, è molto più alto perché altri 44 stati non praticano più le esecuzioni (per ultima Cuba, dove non si fucila dal 2003 e dove nel 2012 sono state commutate le condanne a morte di trenta detenuti destinati al patibolo) e il processo si è accelerato dopo l’inizio del terzo millennio, con 25 paesi che si sono aggiunti. Ora ci si attende che il tema venga dibattuto pubblicamente durante una delle sessioni generali del Palazzo di vetro.

Non siamo ancora al bando generalizzato della barbara pratica, se pensiamo che nel 2011 – ultimi dati certi –  oltre cinquemila sono le persone complessivamente “giustiziate” (usiamo la parola fra virgolette e ci chiediamo di quale giustizia possa mai trattarsi). In testa c’è la Cina, con quattromila (peraltro con una accertata diminuzione), ma come “stato-boia” in percentuale spicca fra tutti l’Iran, con 676, seguito da un manipolo di nazioni arabe fra le quali l’Arabia Saudita, 82, e l’Iraq, 68. Negli Stati Uniti (uno dei paesi dell’Occidente che ha votato all’Onu contro l’abolizione) le esecuzioni sono state 43.

Certamente grandi passi sono stati fatti verso l’abrogazione, il cui cammino ha avuto inizio nel 1786 nel Granducato di Toscana (dove ancora oggi il giorno dell’abolizione, il 30 novembre, è festa regionale), su influsso del libro Dei delitti e delle pene (1764)  del giurista e filosofo Cesare Beccaria. Dopo molte resistenze – durate oltre due secoli – l’opinione pubblica da allora si sta lentamente convincendo che la forca non ha alcun effetto deterrente, e comincia a chiedere che sia eliminata. E c’è addirittura una “Giornata mondiale” che si è celebrata per la decima volta il 9 ottobre scorso.

Chiarissima la posizione del mondo cattolico. Nell’esortazione apostolica Africae munus Benedetto XVI ha dichiarato espressamente: “Occorre fare di tutto per abolire la pena di morte”. E secondo il teologo don Mauro Cozzoli, che cita espressamente il Catechismo della chiesa cattolica, essa è “da considerare eticamente abusiva e illecita”.

Oggi, come abbiamo scritto, si comincia a respirare un’aria nuova. Pensiamo, ad esempio, che in Francia al momento dell’abolizione, nel 1981, ancora il 63 per cento dei cittadini era a favore del patibolo; nel 2012 la proporzione si è ridotta al 42. Negli Stati Uniti – dove si uccide ancora per legge, con un triste primato per il Texas – le esecuzioni nel 2011 sono arrivate, come s’è detto, al minimo storico, 43, rispetto alle 85 del 2000, anche se soltanto sedici fra i cinquanta stati dell’Unione le hanno abolite; ma altri, di fatto, non vi ricorrono più da molti o da pochi anni. L’opinione pubblica vi è ancora a favore, al 60 per cento, ma anche lì in netto calo rispetto ad appena dieci anni fa. E i cattolici all’86 per cento sono contro, per tante ragioni, una delle quali sta nel fatto che almeno quaranta sono, negli ultimi decenni, le persone “giustiziate” e postumamente riconosciute innocenti.

La vera rivoluzione planetaria si avrà comunque quando in Cina – come sembra stia avvenendo – si garantiranno un po’ più i diritti umani e soprattutto quando un candidato alla presidenza degli Stati Uniti potrà dichiarare senza timore di essere a favore dell’abolizione.

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