ISLAM LIBERTÀ E NICHILISMO
… Addio libertà e moralità. Così, in fondo alla scelta dei terroristi non ci sarebbe un’idea o un progetto antagonista per l’occidente, ma qualche sostanza che il sangue trasmette alle cellule, oggetto di studio delle neuroscienze
Nei giorni successivi agli attacchi degli islamisti a Parigi la stampa ha dedicato interessanti approfondimenti sui principi e sui moventi che potrebbero spiegare i fatti. È prevalente il timore di un integralismo che impatta l’occidente con un esito incombente: chi pensa ad un piano di conquista attraverso la paura travestita di rispetto, chi, invece, teme la sostituzione demografica evocando ciò che disse all’Onu il leader algerino Boumedienne nel 1974: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”. Dunque abbiamo già in casa un islam crescente che punta sul tempo e sull’agonia dei valori umani in Europa. Ma, distraiamoci un po’ da questo cupo orizzonte e vediamo come le analisi degli intellettuali hanno inquadrato il pericolo islamista all’indomani della strage di Parigi.
Intanto predomina la minaccia al nostro regime di vita, quello che permette la normalità quotidiana governata da contrassegni che chiamiamo valori, ma che tali non appaiono all’islam. A dire il vero neanche in occidente hanno senso univoco per laicisti e credenti, ma li fa convivere la comune cultura democratica. L’islam rifiuta tutto il pacchetto in nome di un progetto alternativo che ha armato minoranze determinate a colpire “gli infedeli”. Comunque, servirsi di un vocabolario religioso crea ambiguità, sia nella semplificazione del concetto di occidente sia, talvolta, nelle analisi del fenomeno della Jihad da parte nostra. La questione è aperta anche sull’interpretazione del corano che non aiuta la lettura dei comportamenti, generando angoscia per lo studioso occidentale e anfratti mentali per la difesa integralista. E così, parole e archetipi come: libertà, sicurezza, solidarietà eccetera, stanno subendo un processo con categorie di confronto del tutto nuove.
L’Espresso ha dedicato a questo discorso il n° del 26.11.2015 con varie firme. Per Roberto Saviano i terroristi hanno attaccato la libertà nelle sue forme più vissute: concerti, sport, shopping. Secondo Giovanni Di Feo le minoranze radicali islamiste si servono del web per collegarsi a mostrare la ferocia come identità tesa a logorare il nemico. A questa identità, prosegue Hanif Kureishi (un intellettuale anglo-pachistano molto considerato nel settimanale) non dovrebbe opporsi l’occidente in nome della propria identità perché sarebbe un bisogno di marca fascista, detto molto sbrigativamente. L’uso piuttosto disinvolto di questo termine europeo non sembra raggiungerci in questa stagione. A noi sembra un ni-chilismo, proprio quel ghiotto bersaglio ideologico e bellico degli integralisti, con buona pace dell’editoriale di Luigi Vicinanza che restringe il bersaglio di costoro affermando: “Il fanatismo contro la laicità”. Mai saputo di chiese e cristiani cancellati da quelle parti.
La connotazione nichilista, approssimativa o esagerata che sia, appare anche altrove nella descrizione che stiamo tentando. L’afferma Sergio Givone, noto filosofo, nelle pagine del settimanale, e gli fa eco l’orientalista Olivier Roy, intervistato dal Corriere della Sera, sempre del 26.11.2015: la conversione all’islam e la mistica autodistruttiva è una forma di nichilismo che scavalca l’esperienza dei genitori integrati. Secondo Roy non si tratta di islam radicale, ma di islamizzazione del radicalismo, una “repulsione della società … che prende la forma del jihaidismo tra alcuni musulmani di origine o convertiti”.
Il nichilismo chiama in causa un certo rapporto alla libertà come concezione e come pratica. Era scontato che questo tema, fondamentale per la civiltà occidentale, venisse declinato in questo momento come valore in pericolo e come primo spazio di difesa da attacchi alla sicurezza europea. Su Repub-blica della stessa data è stato dato ampio risalto ad uno studio di Axel Honneth, Il diritto della libertà, registrato su categorie prevalentemente filosofiche, dallo stadio negativo di Hobbes e da quello morale di Rousseau per giungere a quello istituzionale come garanzia sociale, non puramente formale, come voleva Kant.
L’Espresso non poteva non dare la parola finale ad Eugenio Scalfari che chiude il settimanale col tema: Dove comincia la nostra libertà commentando un testo di Giulio Giorello sullo stesso argomento. Scalfari prende l’avvio dal secolo XVI con un concetto di Dio, teologicamente molto discutibile, delineato da Calvino, un Dio vendicatore che sarebbe analogo a quello dei terroristi di Parigi, una premessa che rende puramente retoriche le domande che seguono sulla libertà degli assassini. Ma qui, come altrove nell’articolo, il discorso si interrompe per passare ad una galleria di pensatori lontani nel tempo e incapaci a darci un aiuto. È nella parte finale che Scalfari fa proprio il positivismo dell’amico autore per poter affermare, finalmente, che né il pensiero, né la morale di Kant, in quanto pensiero, sono liberi, perché dipendenti dalla funzione del cervello condizionata da altri organi.
Addio libertà e moralità. Così, in fondo alla scelta dei terroristi non ci sarebbe un’idea o un progetto antagonista per l’occidente, ma qualche sostanza che il sangue trasmette alle cellule, oggetto di studio delle neuroscienze. Tutto sta a sapere come vengano ideologizzate quelle sostanze. Anche in un suo libro Scalfari tira la giacca a Kant per premesse impossibili alle sue imponderate affermazioni. Eravamo partiti da una minaccia esterna alla libertà, proveniente dal medioriente, e ora ce la troviamo nella circolazione sanguigna. Davvero non c’è limite alla libertà di pensiero.