La Polonia non è all’est, la Polonia è Europa. La prima a capirne la dinamica in atto (quando l’interesse per il “miracolo polacco” sta esplodendo sui principali media internazionali) è stata la Germania, partner privilegiato nell’interscambio. Berlino manda avanti a tappe forzate il riavvicinamento con il vicino orientale – come ha dimostrato la recente visita della cancelliera Angela Merkel – per raggiungere qualcosa che assomiglia all’intesa franco-tedesca. Forse ancora più difficile, perché incombe fra i due paesi il ricordo del massacro di sei milioni di vittime e il tentativo nazista di cancellare un popolo. Ma Varsavia oggi – ci se ne rende conto ogni giorno di più e perciò è necessario parlarne – ha un peso sulla strategia globale della Nato e dell’Europa, e di quest’ultima viene considerata la “seconda locomotiva”, con la più forte “crescita cumulata” della Ue dal 2008 al 2011, il 15,8 per cento. Così, nonostante sia lambita dall’onda lunga della crisi mondiale, il prodotto interno lordo cresce attualmente su percentuali di 1,5-2, da far invidia a Italia, Francia e Spagna.
I problemi non mancano, con una disoccupazione superiore al 12 per cento e una situazione di infrastrutture carenti (specie per la viabilità e i trasporti). Ma il debito pubblico è il più basso d’Europa, 56%, e per il resto si è saputo utilizzare in opere pubbliche fra il 2007 e il 2013 gli 87 miliardi di euro dei fondi europei (l’Italia avrebbe qualcosa da imparare), mentre il costo del lavoro è la metà di quello corrente nel resto dell’Ue; dall’estero si continua a investire nonostante qualche cedimento (la Fiat, per esempio, ha soppresso 1500 posti di lavoro). La finanza internazionale, in ogni caso, guarda con interesse a Varsavia, destinata a soppiantare Vienna come piazza borsistica più importante dell’Europa centro-orientale.
La Polonia non è ancora nell’eurozona, anche se per precisi accordi internazionali è destinata a raggiungerla al massimo entro la fine dell’attuale decennio. Si parla di un referendum popolare che potrebbe essere proposto dagli euroscettici, con un certo seguito nel paese. Ma l’euro, secondo Marek Belka, governatore della Banca centrale, porterebbe soltanto vantaggi e rafforzerebbe il ruolo di Varsavia. Del resto, pochi mesi fa la presidenza polacca dell’Ue ha dato esiti eccellenti e si è permessa il lusso di bloccare il progetto Energia 2050 destinato alla “decarbonizzazione” dell’Unione: lo sfruttamento dei giacimenti carboniferi e delle riserve di gas da scisto è, per il paese, una scelta strategica per evitare di dipendere dalle forniture russe, scelta che non è dispiaciuta ai dirigenti del Patto atlantico. In altri settori si sono offerti risultati ottimi in campo sportivo con l’esemplare organizzazione nel 2012 dei mondiali di calcio. E non è senza significato che, mentre nel resto dell’Europa si gioca al ribasso, gli investimenti polacchi nella cultura si mantengono all’uno per cento del Pil. C’è da tenere alto l’onore del paese, con un papa e due nobel per la letteratura negli ultimi trent’anni.
Parlare della Polonia, in tempi di crisi, significa aprire una prospettiva di speranza, al di là dalle vicissitudini politiche. Alla fine dell’anno prossimo, dopo le europee, ci saranno le elezioni generali, e già l’opposizione conservatrice di Diritto e giustizia, con un candidato credibile come Piotr Glinski, affila le armi per strappare il governo all’attuale premier, il demoliberale Donald Tusk, che corre per la terza volta alla leadership. Tutto, comunque, nel rispetto delle regole della libertà e della democrazia.