L’EUCARISTIA…

CHE POSTO HA NELLA NOSTRA VITA?
By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 31 Maggio 2013

Ci sono parole di Gesù, che fanno sobbalzare di stupore e di gioia incredibile per noi poveri uomini, parole che ci fanno entrare direttamente nel cuore del padre. Sappiamo quanto sia difficile per noi povere creature entrare anche solo nel cuore degli altri, ossia sapere come e quanto ci vuol bene un amico. Incredibile, dunque, pensare di poter capire il cuore stesso di Dio. Ecco perché le parole del figlio, in questa solennità del Corpus Domini, ci colpiscono così in profondità. Sono parole, che diventano azioni, dichiarando quanto siamo amati dal Signore, per sempre e in una fedeltà che diventa vita per ciascuno di noi. “Io sono il pane vivo disceso dal cielo – afferma Gesù – chi mangia di me vivrà”, ossia il padre ci dona suo figlio, come pane vivo da mangiare, per avere la vita. “Il nostro salvatore – proclama il Concilio Vaticano II – nell’ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei se-coli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare alla sua diletta sposa, la chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione, sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura” (SC 47). È lo stesso maestro che si incarica di introdurci nella grandezza del dono, partendo da una realtà che è vita quotidiana, ossia la necessità del pane, come nutrimento per questa vita terrena e temporale, ma intendendo per “pane” tutto ciò che dà vita. Come capitava a Gesù nella sua intensa vita missionaria. Aveva attorno una grande folla. Dice il vangelo che “Gesù prese a parlare del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. Troviamo così riunite le due esigenze vitali che muovono Gesù verso gli uomini: il bisogno del cielo, indicato dalla sua parola, e della terra, attraverso le guarigioni dalle malattie. Gli apostoli erano consapevoli di non poter far fronte alla richiesta di pane, che veniva da quelle folle affamate, che erano accorse ad ascoltare il maestro e lo invitano a congedarle, “affinché vadano nei villaggi e nelle campagne intorno per alloggiare e trovare cibo, perché qui siamo in una terra deserta”, come a dire che non era compito di Gesù sfamare chi aveva fame! Gesù, allora, li invita a utilizzare quanto avevano a disposizione e dopo aver raccolto “due pani e cinque pesci” – piccola cosa di fronte all’immenso bisogno – li moltiplica. È un miracolo che vorrà indicare non solo l’attenzione e la cura che Dio ha per le necessità, anche temporali, per ciascuno di noi, ma dovrà ravvivare la fede su un altro dono, ben più grande, ossia quello del “pane vivo, disceso dal cielo”, che sarà il suo corpo e il suo sangue, la sua vita donata. Una moltiplicazione miracolosa che nell’eucaristia si ripete da duemila anni, ogni giorno, in ogni parte del mondo e che sfugge a ogni contabilità. Se quel giorno, in Palestina, le folle erano composte da “5000 uomini, senza contare le donne e i bambini”, pensiamo oggi all’immenso numero di sante messe, che si celebrano in tutto il mondo, e come contare la folla di credenti che così può nutrirsi del “pane disceso dal cielo”, facendone il vero cibo della loro anima? Anche il cristiano, lo dobbiamo umilmente confessare, troppe volte, nella sua miopia spirituale, capisce, cerca e si ferma solo al pane della terra e ne fa un idolo da inseguire come unica fonte di felicità. Proviamo a parlare di benessere, di soldi, di moda, di divertimenti, che sono l’unico pane che offre la terra e troveremo sempre grande ascolto.

Ma la nostra piena realizzazione è nel vero amore, quello profondo, che abita ancora lo spazio del cuore, che è l’ansia nel cercare, oltre le creature della terra, ciò che non riusciamo forse neppure a comprendere, ma sentiamo che viene da altrove, come appunto è l’eucaristia.

Sono tantissimi gli anni che sono sacerdote e vescovo, ma confesso che non sarei capace di stare un giorno senza la santa messa. Riscopro ogni giorno, nella comunione, la bellezza della presenza di Gesù, che entra profondamente nel cuore… e lo senti!

Ho incontrato tanti cristiani, a cominciare dalla mia mamma che, accostandosi all’eucaristia, nutrendosi del pane vivo, di Gesù, ne hanno fatto il senso pieno della vita. Come dunque è possibile che tanti, troppi cristiani, anche la domenica, che è il giorno del Signore, preferiscano fare altro, viverla solo come il giorno dello svago, che spesso alla fine lascia solo l’amaro in bocca?

C’era un tempo in cui la solennità del Corpus Domini era vissuta nei paesi come davvero una grande festa. Si adornavano di fiori le strade dove sarebbe passato il Santissimo sacramento. Per la gente semplice la fede non aveva incertezze: era il giorno in cui dire grazie, anche esteriormente, a Gesù che passava tra le nostre case, che aveva scelto di restare “fino alla fine dei tempi” tra di noi.

Credo che tutti dobbiamo farci un esame di coscienza e chiederci che posto abbia ancora l’eucaristia nella nostra vita.

Gesù nell’eucaristia è ancora il senso della nostra giornata, lo sentiamo come la compagnia di Dio?

Ricordo una giornata a Santa Ninfa, nelle baracche, dopo il terremoto. Nella tenda-cappella vi era l’ora di adorazione. Giunse l’onorevole Moro, allora presidente del Consiglio, a visitarci. Volle intrattenersi anche lui in adorazione, davanti al Santissimo, per tutta l’ora. Uscendo mi disse: “Senza di lui è difficile compiere il mandato datomi”.

Chiediamoci, dunque, seriamente: “Che posto ha l’eucaristia nella mia vita? E se non è al centro, con che cosa l’abbiamo sostituita? Ne vale la pena?

In questa solennità chiediamo la grazia di sentire il profondo desiderio di Gesù di essere “il cibo” della nostra vita: un incredibile gesto di amore per noi, che vuole sollecitare una risposta di amore altrettanto intensa, fedele e profonda.

Comments are closed.