IL MESSICO IN CRISI OSTAGGIO DEL NARCOTRAFFICO

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 31 Dicembre 2014

Comincia male, per il Messico, il 2015. Il secondo stato per popolazione, dopo il Brasile, dell’area latino-americana, e il primo nel mondo di lingua ispanica (122 milioni di abitanti, 88 per cento cattolici), entra nel nuovo anno con un bilancio da brivido per la criminalità. Balla fra il diciottesimo e il ventunesimo posto (sui 196 paesi del mondo) per numero di fatti di sangue, 22,3 ogni mille abitanti, con un tasso raddoppiato rispetto a sei anni fa. Occupa il quinto posto nella classifica mondiale dei più pericolosi. Fra le città, in testa alle classifiche per omicidi c’è Ciudad Juarez, dove è rischioso camminare di giorno e che è ritenuta la “cerniera” del traffico della droga verso gli Stati Uniti: 170 assassini ogni centomila abitanti, venti volte la media globale.

Il cartello della droga messicano, fra i più potenti a livello planetario, controlla una larga parte delle attività economiche e finanziarie, cui affianca il traffico degli emigranti, la prostituzione, il riciclaggio di denaro sporco. Ma oggi, per la prima volta, la gente ha cominciato a ribellarsi. In tutto il paese si verificano proteste spontanee che raccolgono centinaia di migliaia di persone nelle principali città e che, all’inizio pacifiche, si traducono in scontri con le forze dell’ordine, assalti e incendi a edifici pubblici, vittime, feriti e arresti.

Il malcontento covava da tempo: la criminalità organizzata è entrata come una cancrena nella società civile, esprimendo incredibili possibilità di corruzione a livello politico e istituzionale. Centodue giornalisti sono stati uccisi (spesso con sfrontate auto attribuzioni di responsabilità da parte delle gang di delinquenti) negli ultimi dieci anni: tutti erano impegnati nel denunciare le malefatte dei “cartelli” che non perdonano. Così Maria del Rosario Fuentes, che animava un sito di informazione sulle attività illegali, è stata sequestrata e costretta, prima di essere uccisa, a dare la notizia della propria morte (documentata con la foto del cadavere) sul sito stesso.

Ma la vicenda che ha fatto debordare il vaso riguarda il presumibile assassinio di 43 studenti di una scuola agraria a Iguala, nello stato di Guerrero, arrestati il 26 settembre scorso dalla polizia locale (anch’essa abbondantemente inquinata da complici dei trafficanti), consegnati a un’organizzazione criminale e poi spariti nel nulla. I giovani si trovavano nella città, governata da un sindaco tributario di un “cartello” e la cui moglie aveva tre fratelli nel traffico di stupefacenti, per protestare contro la corruzione dei politici locali. La loro scomparsa, sottovalutata dai pubblici poteri, ha sollevato in tutto il Messico un’ondata di indignazione ancora lontana, dopo tre mesi, dal placarsi. Del resto, non è ancora chiaro se e come siano finiti gli studenti, i cui corpi, per il momento, non sono stati ritrovati, provocando ulteriori proteste e manifestazioni popolari.

Sarà un anno difficile, dicevamo, perché fra pochi mesi si svolgeranno le elezioni politiche e l’attuale presidente, Enrique Peña Nieto, non sembra in grado di sradicare il cancro della criminalità. La gente ha la sensazione che lo stato, dominato da delinquenti che hanno seminato corruzione a tutti i livelli delle istituzioni, sia impotente a restituire un minimo di speranza in una normale convivenza; né si presentano all’orizzonte forze alternative che possano garantire il rispetto della legalità. A meno che il moto di protesta si trasformi in qualcosa di simile alle “primavere arabe” che si sa, però, come sono andate a finire: nel caos e nelle guerre civili, in distruzioni e morti. Il Signore salvi il Messico.

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