GENERAZIONE ZETA
Si chiamano così i nati nel ventennio dopo il 1995, che oggi hanno tra i 20-25 anni, come san Gabriele quando studiava nel convento del Gran Sasso e morì nel colmo della giovinezza. A febbraio c’è la festa di san Gabriele. Pungola sempre la curiosità di domandarsi se vi sia qualche somiglianza tra lui e i giovani di oggi. Non certo di tipo socio-culturale o religioso, ma esistenziale.
La Generazione Zeta è collegata con quella dei Millennials, tra il 1980-1995, i cui genitori sono la cosiddetta Generazione X, tra 1965-1980, beneficiaria dell’ultima fase dell’epoca del benessere, quando l’Occidente sembrava volare verso il progresso senza limiti. Poi è arrivata la cascata delle crisi, anzi la permacrisi, sociale, economica, ambientale, pandemica, politica, e infine l’assurdo della guerra con il suo tragico ritorno indietro.
Nella Generazione X si trovano i primi responsabili di avere rinunciato alla trasmissione della fede ai loro figli. Così oggi circa il venticinque per cento dei Millennials e della generazione Zeta sono scristianizzati, e altrettanta percentuale abbandona la Chiesa dopo la cresima. Problema grave per la comunità cristiana. Non siamo in grado di dare risposte alle domande dei giovani, e continuiamo a dare quelle che andavano bene per i loro nonni. In genere non esprimono un rifiuto consapevole ed esplicito della fede, solo che non sanno a che serva quando entrano nell’età adulta. Se domandi loro perché non si impegnano, rispondono che stanno bene così. La religione non fa parte del loro programma di vita. Sono sinceri, dato che nessuno dimostra loro la bellezza di quello che perdono.
Se però s’imbattono in una persona o un evento significativi restano pensosi e cercano l’incontro. San Gabriele è uno dei casi. Anche se non vanno regolarmente in chiesa o non ci vanno più, vengono al suo santuario, si informano sulla sua storia e sostano incantati davanti a lui. Non solo nei raduni di massa, come a cento giorni dagli esami, ma anche da soli, alla spicciolata, quando vanno in gita sul Gran Sasso.
San Gabriele, giovane e santo dei giovani, la cui vita è di 24 anni per sempre, riesce a intercettare le domande di senso a cui gli adulti non sanno rispondere in questo farraginoso cambiamento d’epoca che ci è toccato vivere. Pur trattandosi di contesti storici non paragonabili, il santo trasmette la certezza che è possibile superare le difficoltà, vincere la solitudine, costruire amicizie, condividere idee e valori, farsi strada nella complessità, vivere i conflitti non come sconfitte ma tappe di crescita. Anche lui ha avuto le sue crisi, pur in ambiente formativo omogeneo e rapporti sociali più armonici. Perde la mamma a quattro anni, fratelli e sorelle durante l’adolescenza, è colpito da malattie serie da ragazzo, è sfiorato dalle problematiche culturali e politiche del suo tempo, vive gli smarrimenti sentimentali della prima giovinezza, sente arrivare la morte nel colmo della vita. Ma nell’intimo dell’essere trova la roccia su cui basarsi, il filo con cui tirarsi su, che ognuno deve afferrare per realizzare il proprio progetto: il silenzio per stare con se stessi, la comunità per stare con gli altri, ambedue spazi per stare con Dio. E afferma che per lui la vita è gioia e bellezza. Persino sorriso, tanto che lo chiamano santo del sorriso.
Valori che i giovani inseguono ancora.