VIVERE DI RENDITA…

Il peso di lasciti e testamenti sul reddito nazionale
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 31 Dicembre 2020

L’Italia, assieme alla Francia, è il paese in cui i trasferimenti ereditari si avvertono di più. Ma se la ricchezza ereditata diventa più consistente di quella guadagnata, cioè prodotta, possono esserci ripercussioni negative importanti sulla mobilità sociale tra le diverse generazioni. La stessa cosa si può dire dell’uguaglianza di opportunità

Quello che non hanno ottenuto le battaglie contro il gioco d’azzardo di volontari, preti, giornalisti, associazioni e sociologi l’ha realizzato la pandemia. Dalla sera alla mattina, il lockdown della scorsa primavera (e, in parte, anche quello autunnale) ha chiuso le sale slot e scommesse per evitare assembramenti. “Ci siamo trovati quindi in una condizione surreale, impensabile sino a qualche mese prima: come per magia, buona parte dei giochi d’azzardo non c’era più. Semplicemente spariti!”, dice Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, che dirige l’Osservatorio per il contrasto all’azzardo e autrice con il giornalista di Avvenire, Umberto Folena, del libro Perché il gioco d’azzardo rovina l’Italia (Edizioni Terra Santa).

E dunque cosa è accaduto ai giocatori patologici? Il coro di chi, più o meno apertamente, spalleggia il business dell’azzardo in Italia giurava e spergiurava che si sarebbero buttati a giocare online, con l’offerta a portata di smartphone, o magari sarebbero finiti per essere coinvolti in qualche bisca clandestina. E invece… “Incredibilmente – spiega Capitanucci – la maggior parte di loro ha riferito un incremento del benessere soggettivo, si è sentita sollevata da questa situazione, non ha sofferto di crisi di astinenza, non è passata a giocare online, solo in piccola parte si è rivolta ai Gratta e Vinci che per qualche incomprensibile ragione sono rimasti disponibili per buona parte del periodo di chiusura. In altre parole, l’incapacità a controllarsi tipica dei giocatori problematici è stata contenuta da un ambiente di vita azzardo-free che li ha aiutati a stare alla larga dal gioco d’azzardo, che invece in condizioni normali li avrebbe semplicemente aggrediti nei loro luoghi di vita quotidiani, senza la-sciare alcuno scampo”.

I risultati sono nello studio coordinato dall’Osservatorio ministeriale diretto dalla Capitanucci (Quando un virus terribile riesce pure a migliorare la qualità di vita) il quale ha accertato che “il lockdown ha ‘protetto’ i giocatori problematici aiutandoli a non giocare e di riflesso, lo stress sui familiari è diminuito, con il conseguente aumento della loro qualità di vita in termini di relazioni, finanze, benessere, speranze verso il futuro”. Una conferma arriva dallo psicoterapeuta Vittorio Foschini che lavora al SerDp di Ravenna con i giocatori patologici: “Quando il mondo si è fermato di colpo – scrive sull’ultimo bollettino di Alea -l’associazione scientifica che studia (e combatte) l’azzardo – i nostri pazienti e le loro famiglie ci hanno mostrato qualcosa di molto importante di cui desidererei tener conto per il futuro e informarne i nostri governanti: di mancanza di gioco d’azzardo non si muore, non ci si ammala, non si soffre”. E continua: “Su tutto il territorio regionale dell’Emilia Romagna c’è stata una caduta verticale delle richieste d’aiuto rivolte ai servizi e al mondo del volontariato; per fare un esempio, a Ravenna dove arrivavano mediamente 8 o 9 nuovi pazienti al mese, sono arrivate due sole richieste d’aiuto in un mese e mezzo. Contattati in vario modo i nostri pazienti in carico, sia quelli astinenti e stabilizzati da un tempo rassicurante, sia quelli ancora in lotta con la malattia e il rischio di ricaduta, abbiamo rilevato una fila interrotta di sospiri di sollievo e di pensieri liberatori. Nessun giocatore si è preoccupato dell’assenza dell’offerta di gioco oppure ha pensato di emigrare sull’online; i familiari si sono liberati dell’angoscia vissuta ogni qualvolta il loro congiunto si allontanava, sfuggendo al loro controllo visivo”.

È la conferma di quello che le associazioni dicono da anni. Lo Stato biscazziere, moltiplicando e rendendo capillare l’offerta di gioco su tutto il territorio, non ha fatto altro che arruolare nell’azzardo di massa sempre più persone.

La malattia non riguarda solo i giocatori ma investe tutta la sfera delle loro relazioni, a cominciare da quelle familiari. I numeri parlano chiaro: la malattia dell’azzardo è un “danno collaterale” per 9,8 milioni di familiari di giocatori “a rischio moderato” più 10 milioni e mezzo di familiari di quelli problematici ad altissimo rischio. Per un totale di 20,3 milioni di cittadini. Più i giocatori stessi (2,9 milioni) azzardo-dipendenti: e siamo a 23,2 milioni. Un italiano su tre. Chi come Foschini è sul campo tutti i giorni lo sa benissimo: “Nel dramma un giocatore perde tutti gli altri elementi di identità umana: non studia, non lavora, non ha interessi o hobby, non ha vita sociale, non mangia, non beve, non dorme, non ha sentimenti, non ha credibilità su nulla, non fa l’amore, non pensa. O almeno così è percepito da chi li stigmatizza, dagli addetti ai lavori della filiera del gioco che cinicamente sorvolano su tutti i drammi che si palesano ai loro occhi, suicidi compresi, dai familiari che li amano e li odiano contemporaneamente, e finanche da se stessi”.

Solo nel 2018 gli italiani hanno buttato nel gioco 107 miliardi di euro, più di quattro finanziarie messe insieme, la metà dei soldi del Recovery Fund (209 miliardi, 82 a fondo perduto e 127 di prestiti) che dovrebbero arrivare al nostro Paese dall’Europa per il dopo pandemia.

L’industria dell’azzardo legale non ha conosciuto crisi, forte dei cinquantuno tipi di giochi esistenti oggi in Italia: lotterie istantanee (Gratta&Vinci), scommesse su qualsiasi cosa, giochi online, slot-machine presenti in tutti i locali pubblici, sale gioco aperte h 24 e sette giorni su sette con le Video lottery, dove al posto delle monete si possono infilare le banconote. Le estrazioni sono bisettimanali, quotidiane, addirittura ogni ora. Un’offerta che è una potenza di fuoco grazie alla quale è possibile giocare a ogni ora del giorno e della notte. Un dispendio da ogni punto di vista: economico, per via dei soldi buttati e di tempo, sottratto agli affetti, al lavoro, alle relazioni, alle attività sportive, culturali, ricreative.

Il lockdown, evento imprevisto e imprevedibile, ha ribaltato la situazione: “Incontrati in ambulatorio, contattati al telefono e osservati con videochiamate – racconta Foschini – abbiamo scoperto che queste persone si attivavano a fare il possibile, alcuni da soli e altri con i famigliari: improvvisamente sono sembrate persone ritornate ad essere normali, capaci di dipingere casa, di andare al lavoro senza perdersi altrove, dedicarsi al giardinaggio, giocare con i figli, riappacificarsi con i coniugi e finanche offrirsi per attività di volontariato sociale. Rari i casi in cui sono riesplosi vecchi conflitti familiari, legati classicamente alla situazione economica rovinosa: paradossalmente i decreti governativi che hanno sospeso i tagli delle utenze, rimandato pagamenti di mutui e tasse, elargito sussidi di varia natura, sono stati vissuti come una manna, un’enorme boccata d’ossigeno che hanno permesso una riappacificazione familiare che speriamo possa durare”.

Non è durata, infatti. “Purtroppo – spiega Capitanucci – la riapertura ci ha riportati alla situazione pre lockdown, anzi la situazione è persino peggiorata, perché è entrata in congiuntura con la crisi economica determinata dall’emergenza sanitaria di Covid-19. I giocatori hanno ripreso a giocare, tornando a frequentare bar, sale slot e sale scommesse, dilapidando il proprio denaro. Ma per molti di loro la situazione lavorativa ed economica, nel frattempo, è peggiorata: alcuni hanno perso il lavoro, altri sono stati messi in cassa integrazione, insomma, c’è stata una oggettiva riduzione del reddito per molte famiglie. Quindi, i soldi spesi in azzardo alla riapertura dei giochi sono risultati assai più incidenti rispetto a prima del lockdown. Questo si è purtroppo incrociato anche con l’aumentata difficoltà a ripagare prestiti e finanziamenti dovuti al gioco d’azzardo, contratti prima della chiusura. Le conseguenze che stiamo cominciando a vedere adesso sono drammatiche: vi sono persone che si sono suicidate proprio a causa di questa situazione aggravata e il rischio che atti estremi si replichino è tangibile, visto che la situazione generale è ancora critica”.

Un fuoco di paglia, dunque? O da una situazione anomala e così straordinaria come il lockdown di primavera è possibile trarre conclusioni? La situazione è in divenire ma un risultato c’è già stato ed è chiaro: se si riducono le occasioni e le possibilità di gioco, le persone smettono di giocare o riducono fortemente quest’attività. “Bisogna fare tesoro di quanto successo ai giocatori e alle loro famiglie nel lockdown. Aiutare le persone a giocare di meno si può. E non è neppure troppo difficile. Basta volerlo”, dice Capitanucci. Lo Stato biscazziere è avvisato.

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