VACCI…PIANO

Teniamo ancora alta la guardia aspettando l’antidoto anti-Covid
By redazione Eco
Pubblicato il 31 Dicembre 2020

In Italia le prime dosi di vaccino dovrebbero essere somministrate a fine gennaio e inizialmente la campagna riguarderà solo un milione e 700 mila persone. Tra i destinatari operatori degli ospedali e soggetti più anziani e fragili. Ne parliamo con Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria

Vacci…piano, ma ci siamo… Finalmente iniziamo a intravedere bagliori di luce nell’abisso in cui siamo finiti a causa della pandemia. Recentemente il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha presentato le linee guida del Piano strategico dell’Italia per la vaccinazione anti-Sars-CoV-2/Covid-19, elaborato dal ministero, dal Commissario straordinario per l’emergenza, dall’Istituto Superiore di Sanità, Agenas e Aifa. In particolare ha affermato che “se tutti i processi autorizzativi andassero a buon fine, le dosi saranno distribuite agli Stati membri in proporzione alle rispettive popolazioni a partire dal1° trimestre del 2021 e con una più significativa distribuzione delle dosi nel 2° e 3° trimestre, per completarsi sostanzialmente nel 4° trimestre”.

L’Italia, dunque, in base agli accordi stipulati, potrà contare sulla disponibilità delle seguenti dosi: AstraZeneca: 40,38 milioni Johnson & Johnson: 53,84 milioni Sanofi: 40,38 milioni Pfizer/BNT: 26,92 milioni CureVac: 30,285 milioni Moderna: 10,768

Insomma, al di la delle polemiche surreali di una certa politica che attraverso slogan pietosi e comportamenti folcloristici, ha di fatto smarrito la visione generale della situazione in favore del proprio orticello elettorale, ci si appresta a compiere il passo, speriamo decisivo, nella lotta al terribile virus che ha seminato, e continua a farlo, morti, contagi e dolore. Taluni parlamentari, presidenti di regione e sindaci farebbero bene ad evitare fughe in avanti, dirette facebook e interviste proposte qui e là per autocelebrazioni su riaperture anticipate e provvedimenti “personalizzati” in barba alle direttive del Governo centrale. Il tutto a spese dei cittadini visto il gran numero di contagi e morti. Come bene farebbero a vergognarsi quanti continuano a definire il Covid-19 meno pericoloso del virus influenzale e quanti, giornalisti e conduttori televisivi compresi, continuano ad alimentare dibattiti nauseabondi sul perché non si debba consumare tutti insieme il pranzo di Natale, il cenone oppure aprire la calza della Befana… Se per una volta, i tortellini in brodo e il capitone vedranno, per decreto, meno commensali in famiglia, pazienza, non morirà certamente nessuno. In tanti, invece, più di 60 mila italiani, non potranno più consumare quei pasti e soprattutto abbracciare i familiari perché il Covid-19 li ha strappati alla vita. Ovviamente, in casi di necessita – accudire genitori o familiari realmente in difficoltà – il decreto ha lasciato aperto non una porta bensì un portone…

Per fortuna, però, la maggioranza degli italiani la pensa diversamente, come testimonia l’ultimo Rapporto del Censis. Circa il 60% degli italiani, infatti, è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale. Addirittura l’80% chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Tradotto: per vincere questa battaglia, in attesa del vaccino, si chiede a gran voce la garanzia del rigore. Anche perché una terza ondata pandemica avrebbe effetti ancora più devastanti. E non è un gridare al lupo, al lupo per tenere alta la guardia, visto che alcuni paesi come Corea del Sud, Iran e Israele purtroppo l’hanno già sperimentata. Certamente, visto che si tratta di un’emergenza che ha investito l’intero Pianeta si dovrà studiare bene quella che sarà la geopolitica dei vaccini. Tipo: come farlo arrivare a tutti, soprattutto a quei Paesi che non possono permetterselo? Ci riferiamo anche alle modalità di trasporto e di conservazione delle dosi, alcune delle quali necessitano di temperature particolarmente basse. In questa direzione l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pensato bene di creare una Task force per assicurare l’accesso a tutti. Ad oggi, però, Stati Uniti e Russia sembrano “sfilarsi” mentre la Cina, al contrario, è disposta a puntare sull’Africa. Nonostante immunizzare un miliardo e 400 milioni di cinesi non sia un esercizio particolarmente semplice…

Ma torniamo in casa nostra e alla speranza riposta nei vaccini. Lo facciamo con Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e presidente e amministratore delegato di Janssen Italia, l’azienda del Gruppo Johnson & Johnson con circa 1300 dipendenti. Premiato come CEO dell’anno 2015 per l’Innovazione Farmaceutica, Scaccaba-rozzi è anche il frontman della JC Band composta da dipendenti di Janssen Italia. Da più di dieci anni, infatti, terminati gli impegni di lavoro e sostituite giacca e cravatta con un chiodo in pelle borchiato e bracciali di cuoio, si esibisce in apprezzati concerti rock di beneficenza in Italia e all’estero. Chapeau.

Presidente, dal suo osservatorio privilegiato ci spiega la situazione attuale dei vaccini anticovid?

I vaccini in fase 3 ormai sono oltre dieci, e l’auspicio è che i trial abbiano tutti un epilogo positivo. Molte aziende hanno iniziato già la produzione. Mi auguro che entro fine anno-inizi 2021 siano disponibili le prime dosi per la popolazione a rischio. Ma è importante che gli studi di fase 3 siano completati e che i dati confermino la sicurezza e l’efficacia dei vaccini allo studio. Restiamo ottimisti ma prudenti: la ricerca ha tenuto un ritmo impressionante in questi mesi. Aspettiamo, ora, l’approvazione degli enti regolatori che ci danno la garanzia sull’efficacia e la sicurezza. È di questi giorni la notizia della presentazione del dossier per la richiesta di autorizzazione all’EMA e all’FDA (gli enti regolatori europeo e americano) da parte di due delle aziende impegnate nella R&S di un vaccino anticovid.

Quali sono le differenze principali tra quelli che per primi finiranno sul mercato?

Quello che conta non è la corsa tra aziende bensì contro il tempo. Ritengo molto importanti gli annunci finora fatti dalle diverse imprese del farmaco. Mi auguro che ne arrivino molti perché servono tante dosi e perché avere a disposizione diversi vaccini consente un loro utilizzo mirato per le diverse categorie di persone da vaccinare. Quindi più vaccini avremo meno difficoltà incontreremo.

Ospedali e trasporti sono attrezzati per quanto concerne la cosiddetta catena del freddo necessaria per la conservazione?

Ci vorrà una programmazione molto seria. Le istituzioni sono già in moto per trovare soluzioni adeguate e sono certo che ospedali e trasportatori saranno in grado di organizzarsi per riuscire a somministrare i vaccini. E anche le aziende produttrici collaboreranno affinché ciò sia possibile.

Come giudica l’operato del ministro della Salute Roberto Speranza?

Sicuramente positivo in merito alla gestione della pandemia. Insieme ai ministri francese, tedesco e olandese ha costituito una coalizione che sta lavorando con la Commissione europea per far sì che nessun Paese venga discriminato per l’approvvigionamento. Sono già stati siglati sei accordi per la fornitura di centinaia di milioni di dosi di vaccino per l’Europa e sono in corso trattative per prenotarne altri. L’Italia sul fronte vaccini sicuramente sta facendo molto bene, sia dal punto di vista della ricerca, sia della produzione. Stesso discorso per le altre terapie, anticorpi monoclonali, farmaci, plasma.

A suo avviso come dovrebbe essere organizzata la distribuzione e la somministrazione?

È importante programmare oggi – le modalità saranno decise dalle istituzioni -con un’anagrafe vaccinale e punti di distribuzione.

Farmindustria in questa direzione che ruolo ha?

Le aziende sono pronte. Sono 30 anni che le imprese del farmaco distribuiscono con la catena del freddo, a varie temperature, e una soluzione la troveranno anche in questo caso.

La pandemia come ha inciso sulle imprese farmaceutiche?

Una premessa: le aziende del farmaco hanno continuato, nel pieno rispetto delle regole, a produrre medicinali per garantire a tutti i pazienti l’accesso alle terapie. E hanno adottato tutte le misure necessarie di tutela e di supporto per i propri collaboratori. Hanno poi dato un contributo importante al Paese ad esempio con donazioni totali di oltre 40 milioni di euro. Dal punto di vista del mercato quello interno è calato: in ospedale dell’1,4%, in farmacia del 3,4% con una flessione media del 2,3%. Anche le esportazioni sono diminuite rispetto alla corsa degli ultimi dieci anni, ma comunque ci hanno consentito di soffrire meno di altri comparti del manufatturiero.

La colpa del calo, e mi riferisco al mercato interno, è attribuibile alle mancate diagnosi?

Assolutamente sì. I mancati screening, le terapie interrotte o addirittura non iniziate da persone che non potevano o non volevano recarsi in ospedale. Consideri che sono stati fatti 12 milioni e mezzo di diagnosi in meno, 13 milioni di visite specialistiche in meno, 20 milioni di analisi del sangue in meno, 600 mila interventi chirurgici in meno…

Numeri da brividi, soprattutto considerando che parliamo della salute delle persone…

Proprio così. L’associazione degli oncologi, ad esempio, dice che la prossima pandemia potrebbe essere quella del cancro, proprio perché non abbiamo fatto screening, diagnosi e terapie precoci.

Qualcuno, nel mondo della comunità scientifica, afferma che eventuali effetti collaterali dei vaccini anti Covid potrebbero venir fuori tra una decina di anni… Il fatto che si siano accorciati in maniera drastica i tempi di realizzazione rispetto ad altri, può inficiarne la sicurezza?

Per produrre un vaccino ci vuole tempo, mesi e mesi, non solo perché sono necessarie delle tecnologie e dei macchinari particolari ma anche perché ci sono centinaia di controlli durante l’intero iter e anche dopo. Il processo è lungo. Per questo vaccino tutto è stato velocizzato, sia perché si conosceva la sequenza virale, sia perché c’è stata una collaborazione globale. Molte aziende si sono assunte il rischio di produrlo perché, se dovesse andare bene, potranno già avere un quantitativo iniziale da mettere subito a disposizione. Senza dimenticare il dialogo avviato con le autorità regolatorie sin dalle prime fasi delle sperimentazioni che hanno permesso di ottimizzare le analisi e la raccolta dei dati. Prima di finire sul mercato, dunque, il vaccino deve superare tutti i controlli del caso.

Cosa non ha funzionato nell’assurda vicenda dei ritardi nella campagna vaccinale antinfluenzale?

Lo scorso anno le Regioni avevano chiesto 12 milioni di dosi, quest’anno siamo arrivati a 18 milioni, con un aumento del 50%. Le imprese del farmaco hanno fatto il possibile, nel rispetto delle norme e delle regole in materia, per aumentare al massimo la produzione e fare così fronte alla richiesta crescente di dosi in tutto il mondo. Si tratta di una situazione di assoluta eccezionalità che deve spingere le istituzioni e tutti gli stakeholder (titolari di una posta in palio, ndr) della filiera della salute a pensare tempestivamente alla programmazione dei fabbisogni di vaccini antinfluenzali per la prossima stagione e anche per tutte le altre vaccinazioni. Portando poi a compimento la realizzazione dell’anagrafe vaccinale di cui si sente sempre più l’esigenza, non solo per i vaccini antinfluenzali e tutti gli altri vaccini, ma anche per quelli che si spera saranno presto autorizzati per il Covid-19. L’anagrafe vaccinale è indispensabile per organizzare, realizzare e monitorare le campagne vaccinali e stabilire quante dosi dei vari vaccini sono necessarie alla popolazione.

Lei si vaccinerà?

Certamente, lo farò appena sarà possibile. Le dosi, infatti, arriveranno scaglionate e non saranno quindi disponibili per tutti. Le autorità indicheranno quali persone verranno vaccinate prima e quali nel corso dei mesi. Ma senz’altro lo farò quando sarà il mio turno.

Lo renderebbe obbligatorio?

Sono valutazioni che spettano alle autorità. A noi spetta solo produrre vaccini efficaci e sicuri e renderli disponibili.

A livello di cura del Covid-19 la farmacologia sembra non abbia raggiunto certezze. Gli esperti dicono che tranne i “soliti noti”, come i cortisonici e l’eparina, si navighi a vista…

No, non si naviga a vista. I farmaci attualmente utilizzati per contrastare i sintomi del Covid-19 sono quelli previsti dall’Autorità regolatoria italiana che rende pubbliche, sul proprio sito web, le relative schede di indirizzo terapeutico per il loro uso sicuro. Per tutti i prodotti sono rese note le prove più aggiornate di efficacia e di sicurezza al momento disponibili e le regole per una somministrazione appropriata in questa tipologia di pazienti.

Il vaccino ci impedirà di ammalarci oppure di essere contagiosi?

Il vaccino ci proteggerà dalla malattia, ma ancora non si conoscono gli effetti sulla contagiosità. Dovremo aspettare gli esiti delle sperimentazioni cliniche e delle valutazioni da parte delle autorità.

COS’È FARMINDUSTRIA

Fondata nel maggio del 1978, Farmindustria è l’Associazione delle imprese del farmaco. Aderisce a Confindustria, alla Federazione Europea (Efpia) e a quella mondiale (Ifpma). Conta circa 200 aziende associate che operano in Italia, sia nazionali sia a capitale estero. Con oltre 170 fabbriche su tutto il territorio nazionale e 66.500 addetti altamente qualificati, di cui circa la metà donne (43%) e sempre più giovani (gli under 35 sono la metà dei nuovi assunti), le imprese del farmaco in Italia hanno un valore strategico per il Paese. E con 34 miliardi di euro di produzione sono leader nell’UE insieme con la Germania.

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