UNA CASA PER L’ETERNITÀ
Il 9 maggio 1861, Sante Possenti, ammalato, riceve una lettera dal figlio fratel Gabriele dell’Addolorata, il quale non esita a consigliare al genitore infermo, di vivere con spirito di fede la sua malattia. Dal convento di Isola del Gran Sasso, san Gabriele scrive a suo padre: “Adesso si fabbrica la casa per abitarci non trenta, quaranta, cento anni, ma un’eternità, finché Dio regnerà nel suo trono, per sempre. Come dunque ce la fabbricheremo tale la troveremo, sta a noi, da noi dipende il renderci felici o infelici per sempre”.
Il tema è molto delicato perché quando si parla di sofferenza umana significa affrontare una questione complessa dai molteplici risvolti che toccano profondamente l’animo e per questo occorre tanto rispetto per chi soffre e ogni parola deve essere pronunciata con quel pudore che merita l’argomento.
Faccio anzitutto una premessa: Dio non vuole la malattia e la morte di nessuno, non vuole la sofferenza dei suoi figli e non gode nel vedere patire una creatura umana. Se così non fosse, egli non avrebbe donato all’umanità il suo figlio unigenito per sconfiggere sofferenza, peccato, malattia e morte. Detto questo, sappiamo anche che la fragilità e la finitudine è parte dell’esistenza umana, e siamo consapevoli che, nonostante ogni tentativo che nei secoli si è tentato di fare, eliminarla definitivamente non è possibile. Per questo è saggio provare a dare un senso possibile al tanto dolore che attraversa ogni vita. Alla scuola di san Paolo della Croce, la spiritualità passionista, contemplando l’amore di Cristo crocifisso che soffre con e per l’umanità, invita a unire il proprio patire con quello del Figlio di Dio e partecipare con lui alla salvezza del mondo (cfr. Col 1,24). Questa è la prospettiva con cui considerare l’esortazione del santo “abruzzese” rivolta a suo padre, quando lo invita a non “sprecare” nessun patimento dovuto alla malattia.
Ma san Gabriele va oltre e scrivendo al papà lo invita a volgere lo sguardo più che alla fine dell’esistenza umana, al fine verso il quale camminiamo: l’eternità nella quale abiteremo la dimora che Cristo ha preparato con noi e per noi (cfr. Gv 14,2-3).
Cari lettori, all’inizio di un nuovo anno, queste parole di san Gabriele possiamo ritenerle un invito a non dimenticare che ogni giorno è prezioso e va vissuto in pienezza cioè nell’amicizia con il Signore e nel dono di sé a Dio e ai fratelli: in una parola, amando! È l’amore, quello vero, che salva la nostra vita; solo l’amore rimane e ci rende capaci di abitare la casa dell’eternità. E non c’è situazione nella quale non possiamo provare ad amare, come ci insegna la testimonianza di tanti martiri anche del nostro tempo.
Mi viene in mente una riflessione di una donna anziana, molto semplice ma tanto saggia che, riflettendo sulla sua vita che volgeva al termine, mi disse: “La lingua che si parla in Cielo è la carità, e per questo conviene imparare ad amare” sarebbe terribile vivere per l’eternità in un bellissimo luogo ma come stranieri, incapaci di comprendere quello che si vede e succede senza entrare in relazione con qualcuno. Alla luce di queste considerazioni risuona tanto forte l’invito di san Gabriele: è adesso che ci giochiamo l’eternità; è adesso che possiamo vivere con una tale pienezza il tempo che Signore ci dona da porre in esso il sigillo della vita per sempre, della gioia senza fine. È adesso che dobbiamo chiedere la grazia di non vivere nemmeno un istante senza amare.