“LA FELICITÀ NON ARRIVA DA COSE ESTERNE…”

Intervista a Raffaele Morelli
By Gino Consorti
Pubblicato il 2 Gennaio 2022

Se si vuole stare bene – afferma il famoso psichiatra e psicoterapeuta che ha appena pubblicato Vivere senza pesi mentali – si deve percepire nella propria vita l’arrivo del dolore, constatarne la presenza nella nostra interiorità. L’anima non è fatta per migliorare ma per completare, per tenere insieme gli opposti che ti abitano”

Quanti nel corso della vita non hanno avuto a che fare con rimpianti, rancori, sensi di colpa? Quante volte la “colpa” ci ha incatenati limitando la nostra libertà nelle azioni e nelle relazioni? Parliamo del malessere esistenziale che sempre più attanaglia la nostra società, una caduta di energia verso le attività della vita che, ahinoi, nel momento in cui si fa più profonda si avvicina alla depressione. La perdita di una persona cara, una speranza frustrata, un desiderio mai realizzato, una scelta di lavoro sbagliata, un amore fallito, un comportamento inadeguato verso gli altri, eccetera. Stati d’animo che inevitabilmente incombono sulla nostra interiorità, spesso tarlata dalla nostra illusoria idea di perfezione. Come uscirne, allora? Come superare, le visioni negative della nostra persona e riscoprirci capaci di amare e donarci agli altri? Come ritrovare quella pace interiore che riconduce alla dimensione del silenzio e porta a riflettere sul nostro stile di vita?

Raffaele Morelli, medico, psichiatra e psicoterapeuta particolarmente apprezzato, nonché presidente dell’Istituto Riza e direttore della rivista Riza Psicosomatica, nel suo ultimo libro Vivere senza pesi mentali (Mondadori, pp.138, euro 18), propone un percorso di autoterapia per realizzare una crescita interiore. Una sorta di guida per il cuore e la mente, frutto di anni di lavoro ed esperienze con i suoi tanti pazienti.

Nonostante il Natale alle porte e un lungo elenco di impegni di lavoro, eccolo pronto ad aiutarci a inseguire la nostra vera natura ricordandoci che ogni giorno siamo seduti su un mistero. E che la vita ha come unico scopo quello di rivelarsi a ciascuno di noi

Come nasce, Morelli, questo interessantissimo volume?

In psicoterapia ho visto persone schiacciate sotto il peso dei rimorsi, dei sensi di colpa, dei rancori, anche a distanza di anni dagli episodi che li hanno scatenati. Mi sembrava opportuno in questo libro parlare di quelle che sono le regole che si avvicinano ai codici della psiche, alle sue leggi, perché alleggerirsi dei pesi mentali è molto più facile di quello che si creda. Si tratta semplicemente di eliminare la convinzione che le cose sono così e resteranno così per sempre.

L’immaginazione può darci una mano?

È fondamentale. Lasciar lavorare l’immaginazione, la fantasia, e affidarsi al nulla e al vuoto ci porta vicino alla consapevolezza del Sé. Ogni commento su me stesso, ogni giudizio è una zavorra che impedisce alla psiche di farci navigare verso la nostra destinazione. La psiche è il regno della leggerezza: occorre ricordarlo sempre. Pensare e ripensare a qualcosa che è accaduto, rievocare traumi, avvelena il nostro cervello con tossine mentali che offuscano il nostro Sé, che è l’unico in grado di prendersi cura di noi.

Ma come facciamo a non trasformare in peso mentale il giudizio degli altri, magari anche di persone a noi care?

Il giudizio non conta niente, devi solo percepire. Arriva la tristezza, percepisci la tristezza; arriva il dolore, percepisci il dolore e così via. Ma senza la causa. Noi non veniamo al mondo per migliorare ma esclusivamente per realizzare la nostra unicità.

A suo avviso quale sarà la sfida più importante da vincere in questo nuovo anno?

Non c’è nessuna sfida da vincere, bisogna semplicemente essere uomini e donne. Dobbiamo semplicemente sapere, anzi ricordarci che siamo esseri mortali. Nel mondo le epidemie ci sono sempre state, come anche le crisi economiche, eccetera. Diciamo chiaramente che bisogna vaccinarsi, per il resto dobbiamo vivere una vita priva di banalità. I problemi non esistono. Il mondo non ha mai avuti i problemi che abbiamo noi: i figli che crescono con l’idea che i genitori hanno rovinato la loro vita; marito e moglie che non vanno d’accordo, quelli che noi chiamiamo problemi sono false visioni della vita. La vita è altro. Ad esempio perché la pandemia dovrebbe renderci migliori?

Come superare, allora, i pesi mentali?

I pesi mentali dipendono esclusivamente dalla tua identificazione con il mondo omologato, per cui quando arrivano ricordati che non fanno parte della tua anima.

Quindi è solo un problema di percezione?

Proprio così. Se al tuo peso mentale aggiungi la tensione fissa è chiaro che si cronicizza. Il senso di colpa non è legato a un atteggiamento sbagliato ma al fatto che tu ti sei messo in una gabbia mentale dove con il senso di colpa rimane un bambino. Non cresci… Se sei colpevole praticamente la tua vita ha un neo dentro e quindi continui a vedere il neo e non, invece, tutto il resto che ti caratterizza. Non puoi correggere il passato ed è quindi inutile ragionare sui ricordi. Ognuno di noi è un essere unico e viene al mondo per fare la sua unicità, con l’epidemia, senza l’epidemia, con la vita e la morte. La vita migliora radicalmente quando accetti di essere mortale.

Perché contrastare un dolore diventa più opprimente?

Perché il dolore viene per fare di te la prossima tappa. Cos’è il dolore fisico? Dopo esserti ferito la vasocostrizione blocca la fuoriuscita di sangue e si forma la “crosta”. Ma se tu la gratti via la ferita continua a sanguinare… Il dolore, dunque, viene per interrompere il tuo modo di essere, il tuo modo di vedere il mondo, in quanto tu stai chiudendo alcuni lati della tua personalità. Il dolore è sano, per questo va percepito. Una società senza dolore una società morta.

È questa, dunque, la chiave di autoguarigione?

Assolutamente sì. Percepire il dolore, la sofferenza quando arriva, lasciarsi andare senza cercare la causa e senza nessun commento: il segreto è tutto qui.

Alcuni dicono che il dolore dev’essere elaborato…

Nulla di più sbagliato, il dolore va guardato. Come anche il lutto. Quando muore qualcuno, percepisci il dolore quando arriva e muori insieme al dolore. Dopodiché immagina chi non c’è più come fosse un’immagine dentro di te. Chi è che soffre e cronicizza il dolore? Il bambino che non vuole crescere. Ripeto, la vita e la morte sono le stesse facce dell’esistenza di noi esseri mortali. La persona con cui vivi può morire da un momento all’altro, come anche tu. Quando quella persona muore è il momento quindi di trasformarla in un’immagine dentro di te. Cosa vuol dire festeggiare i morti? Ricordarsi della presenza di chi non c’è più. Noi oggi siamo una cultura che non ha più la tristezza, mentre invece la tristezza è un farmaco per il cervello. Ogni disagio lo vogliamo eliminare, siamo pieni di psicofarmaci, invece dobbiamo imparare a diventare uomini e donne.

Si potrebbe pensare, però, che soffrire sia necessario per la nostra evoluzione…

Sono ben lontano dal ritenere che una lunga sofferenza sia portatrice di alcunché di utile e di valido. Piuttosto bisognerebbe chiedersi quanto, interferire sul dolore con i nostri pensieri, i nostri ragionamenti, non finisca per cronicizzare i disagi. Se si vuole stare bene si deve percepire nella propria vita l’arrivo del dolore, constatarne la presenza nella nostra interiorità. Guardo il dolore senza alcun commento: allora dura poco e produce veri e propri miracoli, che ci fanno fare le scelte migliori spontaneamente e nel modo più rapido. A seconda dello spazio che il dolore trova nella nostra esistenza, si apre o meno il cammino verso il nostro destino e verso la felicità. Chi non sa accogliere il dolore, rischia tantissimo per quanto riguarda la sua evoluzione. Le persone che non sanno affrontare i dolori rimangono infantili, nevrotiche, vivono una vita di superficie, ben lontana dalla loro unicità. Costruire una vita solo sulle cene, le bevute, l’allegria crea spesso danni irreparabili all’inconscio. Il dolore è un richiamo fondamentale in questo senso. In tutte le tradizioni religiose – parlo da laico – il dolore viene chiamato, cercato: pensate per esempio alla Quaresima e alla Pasqua cattolica e così via. Gli antichi e le tradizioni sapevano che escludere il dolore dalla vita è molto pericoloso, così come far finta di non vederlo e negarlo.

Nel libro sottolinea che le neuroscienze ci dicono che quando siamo disattenti, quando ci appartiamo dal reale, stiamo ricaricando l’energia cerebrale. In pratica non ci facciamo del bene se restiamo sempre vigili e connessi…

I bambini si distraggono per aprire altri circuiti cerebrali, come l’immaginazione, la fantasia, la mente vuota, che sono i capisaldi della nostra identità più profonda. Siamo noi stessi, più veri e più autentici, quando entriamo nel regno dei sogni. Chissà perché chi ha dato vita a questo mondo ha creato il sonno? Non è una perdita di tempo spegnere la coscienza per una notte intera? Cosa volete che importi il fatto che solo nel regno della notte si producano quelle Immagini eterne che chiamiamo sogni e che vivono fuori dal tempo? La mente rilassata, tranquilla, ritirata dal reale, capace di sentire il cosmo, le cose, la natura, ha poteri e saperi altrimenti inaccessibili. Saperi che la fretta, l’eccesso di attenzione escludono. Siamo gente oggi che vive fuori dalla natura, in un tempo frenetico che è un’illusione che travolge il cervello, la sua immaginazione, il suo destino fatto di sogni e non di certezze illusorie. Se il mondo delle immagini oniriche non trova posto nella nostra giornata, allora diventiamo cittadini degli psicofarmaci, del nulla che avanza, dell’assenza di interiorità. Gli animali, le piante, gli esseri diventano cose, solo cose, e noi finiamo per essere oggetti spaesati, senza natura, senza immagini, senza infinito.

Quanto è difficile, come cantava Franco Battiato, trovare l’alba dentro l’imbrunire?

Per la prima volta nella storia, possiamo mangiare d’estate e d’inverno gli stessi cibi, magari provenienti da Paesi lontani migliaia di chilometri. Tutto sempre uguale, col telefonino che incombe o l’iPad o il computer che trasformano sempre più anche noi in oggetti. Ecco perché è necessario cercare il regno del buio proprio in pieno giorno, per ritrovare il sapore dell’eterno nella vita che scorre, tra i flutti tempestosi dell’inutile. Che vita sarà mai se la pace interiore si allontana da noi? Non sto assolutamente proponendo una fuga dal reale, dai dolori, dai disagi: non dobbiamo andare alla ricerca di un eremo solitario in cui rifugiarci, quanto piuttosto rallentare, per trovare il tempo di tutti i tempi, che pure vive dentro di me e che si rivela nel sogno.

Ci suggerisce un esercizio per avere una mente silenziosa?

Qualsiasi problema ci sia, dico ai miei pazienti, qualunque cosa accada, qualsiasi ferita torni alla mente, cerca il silenzio! Bastano pochi secondi, basta dirsi: “Io non devo mettere le cose a posto, ma cercare il silenzio dentro di me”. In pochi istanti vi siete allontanati dai pensieri, da quel rimuginare sui disagi che è il vero nemico di ogni guarigione psichica. E poi lasciar partire l’immaginazione, che è andare nel Senza Tempo, dove vive perenne il sapere dell’eternità. Ho sempre in mente gli occhi dei bambini, quando raccontiamo loro una fiaba. Nelle favole ci sono energie antiche che curano la nostra ansia, la depressione, il panico, l’insonnia.

Cos’è l’inganno dell’Io?

È l’inganno di credere che tu esisti per sempre con l’idea che ti sei fatto di te.

Invece?

Bisogna cercare il nulla come diceva san Giovanni della Croce, devi sentire il vuoto dentro di te. Più nulla c’è dentro di me, più evolvo. Ragionare sugli affetti e sul dolore è la cosa peggiore che possa fare. Cercare la causa, poi, è un’altra cosa terrificante che puoi fare… Ad esempio tu dici: “Sto male perché lei mi ha lasciato…”. Sto male – questo è vero – ma perché mi ha lasciato l’aggiungi tu… Sto male in quanto qualcosa dentro di me rimanda il dolore perché io non sto facendo la mia parte. Non esistono cause esterne, sono sempre cause interne. E la causa interna più importante è che tu non stai realizzando quello che sei.

Solitamente quali sono le cause che spingono a entrare in analisi?

Le persone vengono in psicoterapia convinte di avere un problema che sta disturbando profondamente la loro vita. Per qualcuno è un matrimonio che non funziona, per qualcun altro è l’aggressività che irrompe quando meno se lo aspetta, oppure c’è un’impotenza sessuale, una fragilità che sembra occupare tutto lo spazio della mente. Qualche altra volta è l’abbandono o un fallimento lavorativo che ci porta dallo psicoterapeuta. Tutti hanno in mente una causa scatenante e lottano con la mente, con i pensieri, con i progetti per risolvere ciò che li disturba. Non ritengono che i disagi dipendano soprattutto da uno squilibrio energetico, da una mancanza, da una scarsa irradiazione di “luce interna”, come avrebbero detto i sapienti di tutte le tradizioni, insomma, da una lontananza dal Sé nella loro vita. Come se la luce del centro, il vero sole che ci abita, non entrasse più nella coscienza, o sempre meno… e così l’Io vive un “inverno” sempre più esteso. Quando la luce del Sé viene meno, in quel momento cominciano i problemi personali. Invidie, gelosie, rabbie, tormenti, rimorsi, sensi di colpa, non vengono mai attribuiti a questa distanza dal Sé, al predominio dell’Io, che ha uno sguardo troppo ristretto sulle cose e sulla nostra interiorità. Così ci sembra di essere persone che vivono per risolvere solo problemi personali, come se non esistessero che quelli…

Qual è il peso mentale più diffuso?

Il senso di colpa, che come dicevo, è un modo per restare ingabbiati. Poi c’è il rancore, e ancora il giudizio che hai di te. L’idea che nella vita non hai fatto cose importanti, che hai fallito… Un’altra idiozia tremenda è che i traumi ci cambiano la vita. “Sono così perché a tre anni mi è successo questo…”. No, tu stai così e quindi stai male perché non stai seguendo la tua natura. Questo è il punto chiave della questione. Tu sei venuto al mondo per seguire la tua natura, se non lo fai sei un aborto della vita. Dipende tutto dal rapporto con il tuo mondo interno. Se il tuo mondo interno lo tratti come una presenza vuota, allora impari giorno dopo giorno a vedere cosa arriva dentro di te.

Sarebbe questo il segreto della felicità?

Proprio così. Il segreto è diventare nulla e smettere di credere che la felicità arrivi solo da cose esterne. La felicità viene dal nulla, dall’accoglienza della tristezza, dal non cercar di cambiare le cose dentro, dall’accettarti così come sei con tutte le cose brutte che credi di avere. Ama le cose peggiori di te, allora sì che incominci a stare con te stesso e diventi completo. L’anima non è fatta per migliorare ma per completare, per tenere insieme gli opposti che ti abitano. Sapendo la cosa più importante, cioè che l’anima è in un’incessante metamorfosi. Quando oggi dici “io sono sbagliato” è quello che tu oggi vedi di te, ma non è quello che ci sarà domani. Noi siamo in un continuo viaggio, di conseguenza come puoi pensare, ad esempio, che un trauma di cinque anni fa sia ancora vivo in te?

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