UN QUADRO IN CHIAROSCURO

L’amministrazione della giustizia
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 28 Febbraio 2023

Se si paragona l’Italia ad altri Paesi europei, siamo nel gruppo delle nazioni più sicure, Però crescono le altre tipologie di reato: furti di auto, negli appartamenti, truffe informatiche, morti sul lavoro e violenze sessuali…

Italia più buona, ma italiani sempre più paurosi. È un ossimoro quello che suggeriscono la relazione sullo stato della giustizia nel nostro Paese e l’inquietudine che manifestiamo ogni giorno. D’altronde, la nostra caratteristica principale è la contraddizione. Secondo il primo presidente della Corte di Cassazione, Pietro Curzio, l’Italia sta migliorando, seppure lentamente, sotto il profilo della sicurezza, nel senso che sono diminuiti i delitti, soprattutto quelli più gravi. Nella sua corposa relazione annuale, Curzio afferma che “l’analisi sui dati dell’amministrazione della giustizia conferma il quadro in chiaroscuro già descritto nelle precedenti relazioni”, tuttavia, “si assiste a un lento, ma progressivo miglioramento della situazione”. A questo proposito evidenzia come gli omicidi siano passati da 1.900 della fine del secolo scorso ai 315 dell’ultimo anno. Un’efficienza del sistema per cui negli ultimi 30 anni l’accertamento degli autori di omicidi è passato dal 40 per cento degli anni novanta all’oltre 70 per cento attuale, con un trend in crescita. Se si paragona l’Italia ad altri Paesi europei, siamo nel gruppo delle nazioni più sicure. Tutto bene, quindi? No, perché crescono le altre tipologie di reato, come i furti di auto, negli appartamenti, le truffe informatiche, le morti sul lavoro, le violenze sessuali.

Gli infortuni sul lavoro (+32,9 per cento il numero delle denunce) e le malattie professionali (+10,6%) sembrano trainare in alto il dato più drammatico, quello delle morti bianche, che anche quest’anno ha superato il livello dei 1.000 casi, con l’inquietante ritmo di tre morti al giorno. Eppoi ci sono i reati a sfondo sessuale. In proporzione, guardando le denunce, sembra che in Italia il fenomeno sia più basso che altrove, ma non è così, perché la gran parte dei reati sessuali non viene denunciata alle autorità di polizia. Si stima (stima!) che nei Paesi europei più avanzati non più del 50/60 per cento delle violenze sessuali sia denunciato mentre in altri – come in Italia – molto meno. Questo fa sì che i dati reali non corrispondano all’esatta gravità del fenomeno. C’è poi la delinquenza minorile, le cosiddette baby gang, sempre più baby (con maggiore frequenza i protagonisti hanno meno di 14 anni). L’aumento dei procedimenti nei confronti degli under 18 è pari al 27 per cento, un dato impressionante scandito quasi ogni giorno da episodi raccapriccianti e che colpiscono maggiormente perché i protagonisti sono i nostri figli, i nostri nipoti appena usciti dall’infanzia. Così come colpisce la microcriminalità, fatta di piccoli reati come furti (soprattutto d’auto, in crescendo!), truffe, appropriazioni che intaccano la nostra tranquillità.

Ecco, quindi, che mentre i dati freddi delle statistiche vengono interpretati in un modo, cresce la sensazione di vivere in un mondo più pericoloso. L’Italia è il Paese i cui cittadini segnalano il livello nettamente più elevato di insicurezza rispetto ai cittadini di altri 11 Paesi europei. In Svizzera e in Olanda il senso di insicurezza è molto ridotto (8-10 su scala 100). Esso aumenta leggermente via via che si passa ai posti successivi in graduatoria: Svezia (12), Danimarca e Germania (15), Austria (17), Portogallo (18). L’indice fa poi un balzo in su per la Spagna (25), la Gran Bretagna (28), la Francia (31) e il Belgio (33). Il livello di insicurezza italiano (43) è quasi doppio rispetto alla media di questi 12 Paesi. Non è una cosa sorprendente: il livello di sicurezza è determinato in parte dalle attività criminali in atto e in parte dalla capacità di contrastarle in modo adeguato. Olanda e Svezia sono Paesi la cui organizzazione statale è contrassegnata da un elevato livello di efficienza, anche nel perseguire tutti i reati. In Italia si registra la situazione opposta: un livello di insicurezza molto superiore a quello imputabile al suo livello di attività criminale. La spiegazione è probabilmente, in modo rovesciato, la stessa già vista per i due Paesi del Nord-Europa. Il numero di furti di autoveicoli in Italia è particolarmente elevato e rappresenta la spia di un altrettanto elevato numero di reati analoghi (furti/scippi alle persone e ancor più furti nelle abitazioni). Questo elevato livello di microcriminalità diffusa da solo non basta a giustificare l’elevato senso di insicurezza, anche perché i reati più gravi sono molto meno frequenti nel nostro Paese. Ma l’elevato numero di reati commessi in Italia dalla microcriminalità diffusa è accompagnato dalla percezione che quei reati diffusi non sono attivamente perseguiti dalle forze dell’ordine e dall’apparato di giustizia. Probabilmente è proprio da questo aspetto che deriva lo scompenso negativo, tipico solo dell’Italia, tra il livello di insicurezza percepito e quello effettivo di reati commessi.

Fossimo nella magistratura e nei politici, guarderemmo con preoccupazione al futuro, perché sta crescendo una generazione complicata in cui aumenta quella delinquenza minorile che getta un ragazzo sotto a un treno per un sms, scatena risse e aggressioni, anche tra ragazzine, mentre intorno il branco riprende gioioso con gli smartphone per poi acquisire like, figli a cui i genitori rubano gli spinelli (e anche peggio), professori picchiati da genitori di figli asini e maleducati, o addirittura sparati a piombini in aula (con presunta comica sui canali pubblici la quale ironizza e “assolve” i piccoli delinquenti). Ragazzi, afferma lo psicoterapeuta Alberto Pellai (medaglia d’argento al merito in Sanità pubblica), che “agiscono senza riflettere, secondo un canovaccio che viene evidentemente amplificato in questa fase storica nella quale si registra la carenza di un serio e proficuo allenamento al pensiero critico, indispensabile nella crescita dei preadolescenti. In tanti giovani viene meno il confine tra la vita virtuale e quella reale. Agiscono alla cieca, d’istinto, senza mettere a fuoco ciò che può provocare in sé e soprattutto negli altri. Non sanno più ragionare sul loro agire. Troppo spesso vivono solo secondo lo schema stimolo-reazione che nel contesto attuale invece di essere contenuto finisce per essere implementato dai social e dai videogiochi”. Lo studioso ha raccontato che più di una volta gli è capitato di ascoltare ragazzini i quali, posti di fronte alle loro pesanti condotte, si sono giustificati con frasi tipo “ma io non volevo fare nulla di così grave”. Ecco, se non si interviene drasticamente anche in questa fascia di cittadini, nelle future relazioni sullo stato della giustizia si parlerà sempre più di “scuro” e non di “chiaro”, con buona pace delle graduatorie e delle percentuali.

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