IL PENTITO E IL DISPERATO

By Gabriele Cingolani
Pubblicato il 1 Gennaio 2020

I discepoli di Gesù devono essere pronti alla prova dell’identità, come il loro Maestro. È avvenuto durante la passione e continuerà sino alla fine della storia. Nella notte dell’arresto, mentre Gesù subisce interrogatori e maltrattamenti, due suoi discepoli sono sottoposti alla prova della loro fedeltà, l’uno dinanzi alla gente l’altro dinanzi alla propria coscienza. Ambedue falliscono, uno in modo irrimediabile. Sono Pietro e Giuda.

Il racconto evangelico procede a incastro: mentre Gesù afferma la propria identità, nello stesso tempo Pietro è riconosciuto come suo discepolo dai servi del palazzo, ma lo nega con ostinazione fino allo spergiuro, per tre volte, segno della distruzione della sequela. Per coerenza con la propria immagine di uomo coraggioso, Pietro segue Gesù fin dentro l’abitazione del sommo sacerdote e si ferma a scaldarsi al focolare del cortile, dove le fiamme favoriscono il riconoscimento. Alle domande circa la sua appartenenza al gruppo del Nazareno, è colto dal terrore di essere arrestato anche lui. Perde il controllo, e le negazioni scoppiano come una granata: Negò davanti a tutti. Negò di nuovo giurando. Cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell’uomo, Mt 26,70-74.

Messaggio lampante: mentre il Maestro nel processo sta affermando la propria identità e per questo è rifiutato, il discepolo, nelle battute più semplici del processo dell’esistenza, rinnega la propria identità di seguace di Gesù. Io lo sono, afferma Gesù. Non lo sono, echeggia Pietro.

Il rinnegamento di Pietro è collegato all’Ultima Cena, dove Gesù l’aveva predetto indicandone la scadenza al canto del gallo. Tutti gli evangelisti lo raccontano, senza attenuare l’imbarazzante figura del primo vicario che Cristo s’è scelto. Nel susseguirsi delle scene, sembra che sia il canto del gallo a ricordare a Pietro l’avvertimento di Gesù e a farlo scoppiare in pianto. Secondo Luca invece, il ritorno alla consapevolezza è causato dallo sguardo di Gesù. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto, 22,61.

Questo incrocio di sguardi si può spiegare col fatto che il cortile dove Pietro si sta a scaldare e la sala dove Gesù interrogato e poi abbandonato al sollazzo dei soldati sono adiacenti, forse a vista. Gesù potrebbe avere ascoltato le madornalità del discepolo. A un certo punto, o spostandosi da un locale all’altro, lo coglie con uno sguardo. Non poteva esserci che amore. L’importante era saperlo cogliere, e Pietro lo fece.

Le lacrime di Pietro sono di pentimento, perciò gli consentono di essere ricostituito nell’integrità della sua identità e missione. Gesù non lo declasserà, ma lo confermerà nei compiti già affidati. Non importa che il futuro sostegno di tutti i testimoni cominciò con una incapacità di testimonianza. La sua caduta e il suo pentimento saranno raccontati per dire che anche questo è Vangelo: essere sempre recuperati dall’amore.

Diversa la sorte di Giuda. Solo Matteo racconta la sua fine, 27,3-10, mentre Luca ne parla negli Atti, 1,16-20, accennando al campo acquistato con i soldi del tradimento e alla macabra scena dell’impiccagione. Forse si aspettava che Gesù si sarebbe sottratto all’arresto, com’era accaduto altre volte. Visto che invece è stato condannato dal sinedrio, si sente afferrare dal rimorso. Al mattino presto, mentre Gesù è consegnato a Pilato, egli si precipita dai sommi sacerdoti (perché non s’incrociano per via?) per riportare le monete gridando: Ho peccato perché ho tradito il sangue innocente. Poiché i suoi complici non hanno simili problemi di coscienza, sbatte il denaro nel tempio e corre a impiccarsi.

Sorprende che gli Evangelisti abbiano trasmesso tanti dettagli, ma lo scopo è far riflettere sulla serietà della sequela. La disperazione di Giuda fa impressione per la sua drammaticità. Ma c’è un’altra forma di disperazione oggi frequente, non meno pericolosa. Quella senza sangue, la disperazione bianca dell’indifferenza. Il rassegnarsi a non credere per mancanza di fiducia e per non impegnarsi.

In ogni caso, il peccato maggiore di Giuda non è aver tradito Gesù. Accade a tanti discepoli, forse anche a noi. Il peccato che avvolge nel mistero il suo destino è non essere scoppiato in pianto, non essersi pentito, non aver creduto alla misericordia.

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