Un maccherone speciale
La regione verde d’Europa è la capitale mondiale della pasta industriale, artigianale e casalinga, patria di cuochi professionisti e di sudate e sorridenti donne intente ad “ammassare”. Stavolta nella pentola de l’Abruzzo del gusto mettiamo le corde de le chiochie, uno speciale tipo di maccherone – all’apparenza simile a quello alla chitarra – ma di sezione maggiore. La zona tradizionale di produzione è la provincia di Chieti, in particolare l’area montana e pedemontana. Tra gli ingrediente da amalgamare: farina di grano duro, chiare d’uovo e acqua.
Il procedimento prevede la creazione di un vuoto al centro di una collinetta di farina per la realizzazione di un piccolo lago di acqua e chiare d’uovo, si terremota il tutto dando il via alla lavorazione della massa volta all’ottenimento di una pasta piuttosto dura. Pervenuti a una sfoglia non sottile, ripiegata a forma di sciarpa arrotolata, su di essa si abbatte un coltello affilato guidato da mano esperta. Voilà con un tocco creativo finale le corde de le chiochie sono pronte. La denominazione si deve alla forma di questa pasta che ricorda i lunghi crioli di cuoio che tenevano fissate alle caviglie le chiochie cioè le calzature di un tempo di pastori e contadini. Più di qualche studioso si batte per riconsegnare al dialetto abruzzese la “paternità” di questo vocabolo, solitamente attribuito al dialetto della ciociaria (Fr): ciocia è una traslazione di chiochie e non viceversa; trattasi dunque di un lascito romano chiove (chiodo) e non frusinate.
Questo maccherone tipico viene esaltato da un condimento dal sapore forte: la scelta ricade sul classico sugo di agnello o sul più tradizionale sugo alle tre carni (manzo o vitellone, agnello o castrato, maiale), olio, coste di sedano, carote, cipolle e aglio e un bicchiere di vino rosso da sfumare con la carne. Vi è anche la possibilità di aggiunge rosmarino, alloro e salvia che comunque vanno tolti quando si aggiungono i pomodori pelati. In alcune case e in taluni ristoranti il piatto viene servito in una terrina di coccio spolverato con abbondante pecorino grattugiato. In provincia di L’Aquila, nella Valle del Sagittario, questo tipo di pasta è detta stringhitelle (da stringhe, lacci) come ci informa l’Atlante dei prodotti tradizionali d’Abruzzo edito dall’Arssa, che consiglia di accompagnare il piatto in questione con vino rosso fermentato giovane o cerasuolo d’Abruzzo doc.
In Abruzzo si riscontra la sopravvivenza di una vasta gamma di prodotti agroalimentari e ricette legati alla millenaria cultura contadina. Autentici sapori e profumi hanno tenuto testa all’omologazione alimentare dell’era moderna perché più che in altri luoghi la memoria è assurta a valore. Un esempio è dato dal “certificato di nascita” dei maccheroni alla mugnaia fattoci pervenire dal dottor Alessandro Pulini dal quale si evince che nei primi anni del 900, quando Arsita (Te) si chiamava Bacucco, suo nonno Francesco guardia forestale in una notte di inverno, terminato il turno di guardia, affamato si recò dal suo amico Panella mugnaio e realizzarono assieme – per la prima volta – con la farina e l’acqua del fiume Fino questo tipo di specialità caratterizzata da un lungo cordone di pasta raccolta a matassa. Il documento, redatto l’8 aprile 2011, reca la firma di diverse persone tra le quali Ester De Prophetis (101 anni), Vincenziana Picelli (101 anni) e Lucia ved. Creati (90 anni) e altri.
Che la pasta abruzzese, oltre a essere gustosissima, favorisca anche la longevità?