SE BUSSA TOLSTOJ…

By carlo napoli
Pubblicato il 2 Aprile 2023

Leggo sul “Gazzettino” di Venezia la lettera di un padre che si lamenta del proprio tempo. “Quand’ero ragazzo – scrive – sentivo la distanza fra mio padre e me. Ma era una distanza naturale, come quella fra due generazioni vissute in epoche diverse. Ma ora mi sembra che la distanza si sia fatta astrale. E spesso non capisco più i miei figli…”. Credo che questa critica potrebbe essere condivisa oggi da migliaia di genitori. Il mondo per almeno due millenni si è evoluto lentamente, ha visto guerre, lutti, sangue, terremoti, naufragi ma erano lutti, sangue, terremoti e naufragi uguali a quelli di passate generazioni. Poi la scienza e la tecnologia hanno preso a correre velocemente, velocissimamente, cambiando la vita di ognuno di noi e tagliando i ponti col passato. Mi piace immaginare un uomo del seicento, come Cartesio. Quel grande filosofo avrà soppesato il divario fra lui e suo padre Joachin, non gli sarà sembrato un cambiamento radicale. Il mondo in cui viveva, le abitudini, le letture, i rapporti familiari, gli svaghi, i pensieri, gli arredamenti delle case, le fantasie, anche gli amori tutto poteva apparire identico, solo lievemente impallidito per lo scorrere degli anni.

Io stesso – da piccoli fatti – mi accorgo di quanto il progresso scientifico abbia cambiato profondamente anche la vita quotidiana di ognuno di noi. Qualche settimana fa, rovistando in un cassetto dimenticato, ho ritrovato una vecchia, splendida agenda elettronica che mi ha accompagnato in tanti viaggi. Aveva un display grande e luminoso, e gli indirizzi e i numeri di telefono si stagliavano netti su uno sfondo bluastro. La guardo e ricordo di avere amato questo oggetto, allora utilissimo nel mio lavoro. Ma adesso completamente inutile. Buttarlo? O tenerlo solo come ricordo? Oggi nel nostro cellulare abbiamo tutto, non solo indirizzi ma centinaia di numeri di telefono che basta sfiorarli per una chiamata. Tutto a portata di mano. Quand’ero corrispondente nei paesi dell’Est Europa, negli anni del tramonto del comunismo, a Varsavia noi giornalisti dovevamo andare ogni sera, neve o non neve, all’Ansa (l’Agenzia nazionale stampa associata) o all’Associated Press per sapere se, a Danzica, Lech Walesa aveva fatto una dichiarazione esplosiva. Oggi tutti gli inviati hanno nel loro computer le agenzie di mezzo mondo, e pure nel deserto sanno cosa ha scritto la France Press o la Reuter.

E allora penso quanta ragione abbia quel padre di Venezia, quante incomprensioni, quanti linguaggi e orizzonti diversi, quante abitudini nuove. Gli adolescenti costruiranno la loro cultura e la loro personalità, forse sui libri, ma anche sui vari social, da Facebook a Instagram, dai notiziari dei telegiornali alla TV, dal Festival di Sanremo, dagli sceneggiati polizieschi allo sdolcinato Che Dio ci aiuti. E nessun genitore saprà mai come e dove si sia formato questo sapere dei figli, perché ogni generazione comincerà da capo, non si allaccerà più al passato ma nell’epoca delle trasformazioni ultraveloci creerà altri modelli, altri miti, altra storia. Forse non sarà sempre così, perché esistono – come diceva Giambattista Vico – i corsi e ricorsi storici e quello che pareva perduto tornerà a rivivere.

Chissà che in questi ritorni non trovi posto anche la grande letteratura, quella che tocca le corde del cuore e della mente. Tolstoj – come Dostojewskj, come Flaubert, come Goethe, come Pascal – ci aspettano sempre per dirci una parola oltre le mode, oltre il tempo.

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