Dopo il lungo periodo di pandemia assistiamo finalmente a una ripresa delle presenze in santuario. Nell’ultimo periodo, sempre più numerosi, i pellegrini tornano a visitare il loro santo. I giorni più affollati (per quanto il rispetto delle regole anti pandemia consenta) sono il sabato e la domenica, ma le presenze sono sempre più importanti anche durante i giorni feriali.
Proprio durante un giorno feriale ho incontrato un gruppo di visitatori speciali perché uno di loro mi racconta, con gli occhi umidi, non solo quanto sia devoto, ma anche quanto sia grato a san Gabriele per averne sperimentato da vicino l’intercessione.
Renato vive a Villa Rosa (TE). È venuto al santuario di san Gabriele con la moglie Nadia e alcuni amici di famiglia. Sono tutti molto devoti di san Gabriele, e Renato riferisce che questa sua devozione l’ha ereditata dai suoi genitori.
Li accompagno in una visita al santuario e ai luoghi del santo. Per me è l’occasione di parlare di un mio confratello (cosa che confesso, mi piace tantissimo), per loro, forse l’occasione di conoscere qualcosa di nuovo su un santo comunque già familiare.
Per l’occasione entriamo tutti nella cameretta del santo. Parliamo un po’, diciamo una preghiera. E lì osserviamo la commozione di Renato. I suoi occhi sono lucidi e interpellato ci racconta: “Io ho avuto un grande regalo da lui (si riferisce a san Gabriele, ndr)”. Il racconto è di quelli che fanno accapponare la pelle.
Dodici anni fa, mi dice, per andare a prendere del materiale a Roma, si era fatto prestare il camion di un amico. Nel tornare, uscendo dal Traforo del Gran Sasso, trova un restringimento della carreggiata. Quando è il momento di rientrare nella sua corsia avviene qualcosa che nessuno mai si augurerebbe, meno ancora quando è alla guida di un mezzo pesante a pieno carico: si rompono i freni.
“Ho cominciato a ridurre le marce. Il freno a mano non tirava, e comunque sarebbe servito a poco, perché riguardava solo le ruote posteriori, e il pedale del freno era rimasto giù. Ho cercato di far perdere velocità al mezzo in tutti i modi anche per attrito sulle barriere. C’era il rischio concreto di ribaltare il mezzo”.
Mi fermo a considerare se mai avrei avuto altrettanto sangue freddo in una situazione del genere. Lui invece prosegue il suo racconto: “Il mezzo cammina, e io sto pensando di buttarmi. Poi dall’alto vedo il santuario e invoco: “San Gabriele aiutami”. Le parole di Renato sono spezzate dalla commozione. Con le mani si asciuga gli occhi, e prosegue: “Fatto sta che io o sono qua. Lo racconto: san Gabriele mi ha aiutato”.
Renato, che oggi è padre di cinque figli grandi, a distanza di tempo ancora si emoziona nel raccontare questa brutta avventura. Quindi mi dice: “Ora, quando passo su quel tratto di strada grido sempre il nome di san Gabriele. Tanto – dice scherzando – nessuno mi può sentire”.
E mi spiega: per lui, questo è un modo ricordare lo scampato pericolo e rinnovare la gratitudine al santo che, in un momento così particolare della sua vita, ha sentito particolarmente vicino.
Il nostro giro si conclude con una visita alla cripta e, davanti all’urna, Renato mi fa la domanda di tutti i pellegrini: “È una statua?”. Gli spiego che è un’urna, ovvero una statua che contiene i resti mortali del santo. Lui è sollevato e mi dice: “Mi hai tolto un dubbio che avevo da tempo”. Lo capisco. Per lui, che san Gabriele l’ha sentito così vicino, deve essere confortante l’idea di potergli stare a sua volta vicino.