PER UN VOTO O UN LIKE IN PIÙ…

By ferruccio de bortoli
Pubblicato il 2 Aprile 2023

Il governo Meloni ha cominciato da pochi mesi la sua navigazione. A tratti incerta. La metafora marittima, quantomai opportuna, è costellata di dolore per naufragi che forse potevano essere evitati. L’immigrazione – questa è l’amara realtà – non dovrebbe essere materia di scontro politico. È un’emergenza di proporzioni bibliche. Nessuno ha la ricetta giusta. Impossibile conciliare contenimento e accoglienza, ragion di Stato e umanità. Il buon senso e la pietà cristiana dovrebbero consigliare di non cercare voti sulla pelle dei più deboli e dei disperati. Distinguere tra profughi con o senza diritti è semplicemente meschino. Altri Paesi, con i quali spesso ci confrontiamo negativamente, fanno peggio di noi. Ma ciò non costituisce un’attenuante e, tantomeno, un’esimente. L’Europa ha le sue colpe ma accusarla per tutto ciò che accade, quasi lavandoci la coscienza nazionale, è puerile e miope.

I dossier aperti con l’Unione europea non sono mai stati così numerosi e delicati. L’esecutivo è impegnato in un’ambiziosa e, per il momento ancora vaga, riforma fiscale. Dalla quale dipende, ce lo siamo dimenticati, anche il rispetto di alcuni impegni che hanno reso possibile l’erogazione di sussidi e prestiti a nostro favore con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La riforma del catasto, per esempio, l’abbiamo semplicemente rimossa. Il rapporto con Bruxelles, sul piano economico, è però meno conflittuale del previsto, grazie anche a una gestione prudente della finanza pubblica. È apparso, dunque, ancora più incomprensibile il prolungato no alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, il famigerato Mes, ormai ridotto a un feticcio politico al di là dei suoi reali contenuti. Firmare non significa chiederlo.

Dopo la pandemia, alle prese con le conseguenze economiche e sociali della guerra, abbiamo ancora più bisogno dell’Europa. E gli interessi nazionali si difendono con la credibilità, senza la quale anche le buone ragioni finiscono nella penombra. Due negoziati sono decisivi per il nostro futuro. Quello sul nuovo Patto di stabilità e crescita e quello sulla normativa per gli aiuti pubblici alle aziende. Chi ha, come noi, tanti debiti, deve solo ottenere regole flessibili che non deprimano gli investimenti senza i quali non c’è crescita. Chi è meno indebitato ha maggiori mezzi per aiutare le proprie aziende nella transizione energetica. E queste ultime otterranno, al contempo, un vantaggio competitivo sulle imprese italiane frenate dalla modesta capacità fiscale di uno Stato oppresso dal pagamento degli interessi passivi. Uno scenario da evitare. Ecco perché la credibilità, insieme alla serietà con cui si dà seguito agli impegni assunti, è tutto. E addossare sempre e comunque all’Unione europea, tutte le responsabilità – anche quando palesemente non ci sono – appare alla fine un esercizio di masochismo preterintenzionale. E solo per qualche voto – o like sui social network – in più.

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