MORTO PER UN ISTINTO DI LIBERTÀ…

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 31 Maggio 2018

I miti vanno oltre la storia. Da essa spesso, ma non sempre, traggono gli elementi fondativi. Poi, però vengono elaborati, trasformati, adattati alle aspirazioni dei popoli. Sono le storie capaci di suscitare passioni umane e i sentimenti di appartenenza quelle che più si prestano alle elaborazioni mitopoietiche. Ma vi sono storie di umili eroi, animati da grande ineguagliabile passione e dedizione verso il prossimo che rimangano sconosciute. Da queste storie non nasce alcun mito nemmeno nei microcosmi dai quali hanno avuto le scaturigini. Nessuna leggenda e nemmeno uno straccio di memoria tramandata. Solo oblio.

Vi voglio raccontare una di queste storie e per evitare qualsiasi preconcetto, volutamente cancelliamo il contesto che dovrebbe rappresentarne lo sfondo storico.

Un giovane di 22 anni, artigiano fabbricatore di cerchi in ferro per tini e bigonce nella stagione del raccolto dell’uva, ma boscaiolo durante la primavera e l’estate. Va nelle foreste delle montagne del suo paese, lo accompagna il suo mulo che carica di arbusti e pezzi di legna tagliati a mano, con grande fatica. Vive in un paese dove l’inverno dura otto mesi l’anno e dove aver legna da bruciare può rappresentare il confine con l’esistenza. Un giorno, tra la vegetazione della foresta si imbatte in tre giovani uomini di aspetto ancor più misero del suo. Sembrano elfi come nelle favole. Tutti e tre vestono una specie di divisa, come quelle di chi appartiene a uno stesso esercito. Tutte sdrucite e luride. Hanno fame, cercano e implorano qualcosa da mangiare. Il giovane con il mulo, senza esitazione, divide con loro il pane raffermo con un pezzo di formaggio. È insufficiente: non riesce a lenire la fame che i tre patiscono ormai da diversi giorni, da quando sono fuggiti da un campo di prigionieri distante una quindicina di chilometri dal luogo dove si trovano adesso. Non può portali nel paese perché sarebbero catturati. Però conosce una grotta, dove si possono riparare. La notte in montagna, anche nel mese di maggio, fa freddo: c’è ancora neve oltre una certa quota. Per giorni fa la spola tra il paese e la grotta. Porta loro pane, formaggio e qualche volta anche un salume. Un giorno, però, è bloccato da una pattuglia di soldati nascosti dietro gli alti faggi. Hanno uniformi diverse da quelle dei militari che da mesi occupano il suo paese e che qualche giorno prima hanno fucilato quattro persone. Accusati di nascondere qualche animale da allevamento alle loro razzie. Soldati feroci, senza pietà per nessuno. Questi, invece, hanno divise straordinariamente uguali ai tre fuggiaschi, che sfama tutti i giorni. Parlano la stessa incomprensibile lingua. Anche loro fuggono da qualcosa e da qualcuno? Anche loro hanno fame? No, non hanno fame. Hanno bisogno del suo mulo per trasportare il pesante apparato radiotrasmittente. Devono occupare una strada strategicamente importante e comunicare al comando il buon esito della missione. A difendere l’importante arteria stradale ci sono quei militari senza cuore che non si fanno scrupolo a uccidere anche i civili. Anzi, la loro è anche una guerra ai civili. Non può lasciare il suo mulo: è l’unica ricchezza che possiede. Decide di andare con loro. Vuole aiutarli.

Combattono contro la ferocia sterminatrice degli occupanti. Solo qualche centinaia di metri, poi cadono in un agguato. Colpi di mitraglia tra i boschi. Si salvi chi può. Il giovane con il mulo è catturato e giustiziato sul posto. Senza pietà. Anche il suo mulo, complice dei liberatori, è mitragliato.

Nei rapporti dell’VIII armata inglese, il giovane dal grande cuore viene identificato come “italian mule boy”, fucilato dai tedeschi nei pressi di monte Longagna, il 2 giugno del 1944. Il suo nome? Luigi Ilari, di Trasacco, poco più che ventenne. Morto per un istinto di libertà.

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