MESTIERI PER LA VITA…

anno internazionale dell’infermiere e delle ostetriche
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 2 Marzo 2020

L’Organizzazione mondiale della sanità ha voluto evidenziare il contributo fondamentale di due figure nella promozione della salute, nella prevenzione delle malattie e nell’assistenza sanitaria in tutti i settori

Un mestiere antico quanto l’uomo. Delicato. Quasi sacro, perché ha a che fare con il mistero della vita che nasce e con il prendersi cura dei malati. Forse più di un mestiere, quello di ostetriche e infermieri. Per questo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha deciso di proclamare il 2020, bicentenario della nascita di Florence Nightingale, come anno internazionale dedicato a queste due figure. La motivazione è che “gli infermieri e le ostetriche svolgono un ruolo vitale nella fornitura di servizi sanitari, dedicano la propria vita alla cura di madri e bambini, hanno un ruolo primario nelle vaccinazioni salva vita, si prendono cura delle persone anziane e sono protagonisti per il soddisfacimento dei bisogni sanitari quotidiano essenziali e spesso, in molte realtà, sono l’unico presidio di cura esistente”.

Florence, la ragazza coraggio

L’inglese Florence Nightingale, di alta famiglia borghese, nata a Firenze nel 1820 (da qui il nome di Florence, abbreviato poi in Flo), è considerata l’antesignana e fondatrice della professione infermieristica moderna. All’età di 17 anni, nell’Inghilterra vittoriana, sentì di essere chiamata a svolgere un compito cristianamente sociale, quello di assistere le persone malate. Il padre nicchiava, la madre era profondamente contraria perché riteneva indecoroso che una ragazza dell’alta borghesia si abbassasse a fare l’infermiera, un compito che a quel tempo era equiparato a quello di vivandiera dell’esercito. Si diceva che molte infermiere fossero addirittura ex prostitute.

Florence non si perse d’animo e andò avanti. Andò due volte in Germania, a Dusseldorf, tra il 1850 e il 51 in un ospedale luterano e si rese conto come dovessere essere organizzata e condotta un’istituzione di quel genere. Tornata a Londra, riorganizzò l’Istituto per dare assistenza alle donne malate e prive di risorse economiche. Poi partì per Scutari, in Albania, teatro della carneficina inglese durante la guerra di Crimea. I soldati britannici morivano non tanto per essere caduto in battaglia ma perché, feriti, erano confinati in ambienti sovraffollati, privi di igiene, con scarichi fognari a vista, ad altissimo rischio di contagio e con un personale medico assolutamente insufficiente. Florence andava in giro anche di notte con una lampada (da qui l’appellativo di “signora della lampada”) per confortare, curare, assistere e incoraggiare i feriti. Tornata in patria, nel 1856 venne accolta come un’eroina e ricevuta dalla regina Vittoria.

Due anni dopo pubblicò Notes on Nursing la cui attualità è valida ancora oggi: “Osservando le malattie, sia nelle abitazioni private sia negli ospedali pubblici – scrive – ciò che colpisce con maggior forza è il fatto che i sintomi dolorosi che di solito si considerano inevitabili e propri di quel male, molto spesso non ne sono affatto i sintomi ma sono dovuti ad altro: alla mancanza di aria fresca, o di luce, o di tepore, o di tranquillità, o di pulizia, o di regolarità e attenzione nella dieta alimentare…”. Si avvicinarono molte donne, attratte dai suoi metodi innovativi che sapevano coniugare pietas e professionalità, calore umano e organizzazione. Morì il 13 agosto del 1910. La sua massima è questa: “Ogni donna, o quasi ogni donna, nel corso della propria vita, prima o poi deve farsi carico della salute di qualcuno. Ogni donna è un’infermiera”.

Le intuizioni di Florence si sono rivelate geniali e il sistema sanitario occidentale, e non solo, le deve molto soprattutto perché ha saputo esaltare le capacità di accudimento femminile incarnando una medicina che sa guardare alla dignità dei malati, come non si stanca di ricordare papa Francesco: “La vostra professione è una vera e propria missione e voi siete ‘esperti in umanità’- disse il pontefice incontrando proprio gli infermieri il 3 marzo 2018- siete chiamati ad assolvere un compito insostituibile di umanizzazione in una società distratta, che troppo spesso lascia ai margini le persone più deboli, interessandosi solo di chi vale, o risponde a criteri di efficienza o di guadagno”. E li esortò a non dimenticarsi della “medicina delle carezze”: “È tanto importante! Una carezza, un sorriso, è pieno di significato per il malato. È semplice il gesto, ma lo porta su, si sente accompagnato, sente vicina la guarigione, si sente persona, non un numero. Non dimenticatelo”.

Carenza globale ma più forte in Africa e nel Sud-est asiatico

Perché dunque un anno dedicato a ostetriche e infermieri? Queste due categorie nel mondo rappresentano quasi il 50 per cento della forza lavoro sanitaria globale e non a caso nel 70 per cento dei casi sono donne. C’è però una carenza globale dei due profili professionali stimata in circa 9 milioni di operatori, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Africa. Ma anche l’Europa vive lo stesso problema. “Il nostro fine – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) – è assistere i pazienti, individuarne le necessità ed essergli vicini in quei momenti, incidere nel processo organizzativo e decisionale del sistema e dare risposte mirate alle contingenze economiche e ai bisogni che emergono dall’attuale scenario demografico ed epidemiologico. Noi infermieri, soprattutto, progettiamo, sperimentiamo, costruiamo e ricostruiamo processi assistenziali, percorsi organizzativi e flussi formativi. Ci impegniamo, inoltre, in nuove logiche curative, educative e nella strutturazione di reti relazionali che nel loro insieme danno una risposta ai nuovi bisogni di cura e assistenza scaturiti anche dalla fragilità, dalla dipendenza, dalla cronicità, dal disagio e dalla solitudine nella malattia e nei momenti terminali della vita. La sanità non funziona senza in-fermieri. L’anno in-ternazionale dell’infermiere può essere il giusto momento di partenza. La figura dell’infermiere non è solo necessaria – sottolinea Mangiacavalli – è anche ‘desiderata’ fortemente dai cittadini. Ora tocca a noi, a tutti difendere e far affermare la vera assistenza, con la A maiuscola, delle persone”.

Il 19 gennaio scorso papa Fran-cesco ha sottolineato l’importanza di questa ricorrenza: “Mi fa piacere ricordare che il 2020 è stato designato a livello internazionale come Anno dell’Infermiere e dell’Ostetrica – ha detto il pontefice all’Angelus – gli infermieri sono gli operatori sanitari più numerosi e più vicini agli ammalati, e le ostetriche compiono forse la più nobile tra le professioni. Preghiamo per tutti loro, perché possano svolgere al meglio il loro prezioso lavoro”.

Un richiamo al senso di un lavoro che va oltre la professione e rappresenta, per alcuni, una vera e propria missione. Soprattutto, ma non solo, per quelle ostetriche e infermieri che lavorano in contesti di guerra, in paesi poveri e sottosviluppati, come alcune zone dell’Africa, o durante le emergenze dovute a calamità naturali come i terremoti.

I “diari della vita” di Marina Semenzato

Una storia emblematica di questo Anno internazionale voluto dall’Oms è quella di Marina Semenzato, ostetrica per 42 anni all’ospedale Immacolata Concezione di Piove di Sacco, in provincia di Padova, in pensione dallo scorso primo gennaio. La sua storia è balzata alle cronache grazie a un post su Facebook, pubblicato dal dirigente della Ulss 6 Euganea, Domenico Scibetta, nel quale ringraziava Marina per la sua dedizione e per aver sentito il lavoro di ostetrica come una missione, “con una vocazione mai venuta meno in tanti anni di servizio”. Marina nella sua lunga carriera ha fatto nascere 3.173 bambini in Italia e 3 in Sierra Leone; un numero che tante altre ostetriche raggiungono ma la particolarità è che lei ha appuntato su 6 diari la storia di ogni parto al quale ha assistito: “La professione dell’ostetrica – ha spiegato – ha in sé un grande privilegio perché è la prima persona che tocca il bimbo che viene alla luce. Ed è un grande onore che il papa ci abbia dedicato attenzione. Io sono orgogliosa di aver svolto questa professione; a oggi, dopo più di 40 anni di servizio, non so dove finisce Marina e comincia l’ostetrica”.

La decisione di diventare ostetrica arriva già a sette anni, quando nasce il fratello. “In Africa – ha raccontato – ho vissuto un’esperienza incredibile perché la Sierra Leone è in cima alla lista dei paesi, a livello mondiale, per il tasso di mortalità materna e infantile. Sono andata lì con un’associazione a fare un’esperienza di quindici giorni, molto potente e intensa, ho assistito a due parti e a un taglio cesareo, operato dopo una mia diagnosi”.

Com’è nata l’abitudine di trascrivere ogni parto sul proprio taccuino? “Quando si fa la scuola per ostetriche si deve raccogliere la documentazione di parti assistiti e cesarei strumentati – ha spiegato – dopo aver cominciato a lavorare, ho continuato a compilare questa raccolta di dati perché sentivo di voler scrivere di queste creature che avevo toccato e sentito per prima, un’esperienza intensa emotivamente. A volte ho aggiunto particolari, situazioni inattese, belle o drammatiche e questi quadernetti si sono sempre più arricchiti di informazioni. Oggi molte mamme, dopo il clamore mediatico, mi chiedono che numero di parto era il loro. È una cosa che mi riempie il cuore di gioia”.

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