L’UNIONE EUROPEA SENZA PIÙ INGHILTERRA
Le difficoltà cominciano da subito perché per almeno un paio d’anni in un periodo di transizione (sino al dicembre 2022) il Regno Unito resterà, con l’Europa, una unione doganale temporanea che non potrà stipulare accordi di libero scambio con paesi terzi è restato nella storia dell’informazione il titolo di un autorevole giornale inglese allorché si scatenò un uragano sulla Manica: Tempesta sul Canale, il continente isolato. Oggi non si potrebbe scrivere una cosa del genere, con la Brexit – anche se sembra che sia andata a buon fine la trattativa fra Londra e Bruxelles, perché isolata è l’Inghilterra, con tutte le conseguenze che derivano dalla separazione e che la coinvolgono in maniera sostanziale. Poiché al Regno Unito, più che alla UE (anche se non ne mancheranno anche a lei), restano i problemi da risolvere: nell’accordo stilato fra l’Unione (che ha trattato con unità e fermezza) e Regno Unito si è trovata una soluzione di partenariato che mantiene un’area doganale unica per una questione delicata come quella che riguarda l’Irlanda del Nord, alla quale si potrà applicare una parte delle regole europee. Si è superata la controversia con la Spagna per Gibilterra, ma gli altri problemi seri sono sempre sul tappeto: il “riscatto” da pagare (fino al 2020 39 miliardi di euro) per l’uscita dall’Unione, la fuga dei capitali, una potenziale crisi dei mercati, il crollo della moneta, la necessità di recuperare rapporti economici, commerciali e finanziari con mezzo mondo, una situazione di debolezza con quello che era l’Impero, cioè il Commonwealth. Senza contare il tema dei rapporti con i cittadini comunitari che sono andati a vivere e lavorare in Gran Bretagna, e fra essi settecentomila italiani. Tutti incerti sul loro futuro, specialmente dopo le restrizioni che il governo inglese ha già ventilato a partire dal 2020: i lavoratori UE non avranno più la precedenza. So no le conseguenze del referendum indetto dall’ex premier David Cameron, sostanzialmente attorno a tre grandi problemi: il controllo dell’emigrazione; la ripresa del controllo rispetto alle decisioni europee; la fine del contributo finanziario per il recupero di quanto dovuto a Bruxelles. Con il 52 per cento di maggioranza, nel 2016 i cittadini britannici hanno consentito alla Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea, non senza postumi pentimenti. Si è parlato di una nuova consultazione per un eventuale rientro, che però sembra del tutto irrealistico: non se ne fa niente, la Brexit resta la Brexit. Così, dopo una trattativa, anche piuttosto tesa e durata diciassette mesi, con Bruxelles, il divorzio è consumato e il Parlamento europeo ratificherà l’accordo a gennaio. Il presidente della Commissione, Jean Claude Junker, dice: “Nessun giubilo, è una tragedia, siamo tristi”. L’impressione generale è che “abbiamo perduto tutti”, mentre il presidente francese Emmanuel Macron ne trae altre conseguenze: “La UE è fragile, abbiamo bisogno di una rifondazione”. Dal 29 marzo 2019 l’UE regredisce a 27 membri, il Regno Unito scompare dall’orizzonte restando collegato attraverso accordi parziali e con impegni piuttosto vaghi, a parte la concessione di uno spazio di collegamento con le piazze economiche. Ma oltre che a livello internazionale le conseguenze si vedranno sul piano interno: la prima ministra Theresa May si è battuta per ottenere i migliori risultati ma non è stata tanto sostenuta dal suo stesso partito conservatore e dall’opinione pubblica. Fra i tories è salita l’opposizione all’attuale testo dell’accordo, così come i laburisti si dicono contrari, e non ci si potrà meravigliare se a termine la combattiva leader, che sembra ritrovarsi senza una maggioranza di sì e dopo il cosiddetto “voto significativo” del 10 dicembre al parlamento di Westminster, potrebbe essere costretta a cedere il primato e indire elezioni anticipate che portino a un nuovo assetto politico in Inghilterra.
Comunque le difficoltà cominciano da subito perché per almeno un paio d’anni in un periodo di transizione (sino al dicembre 2022) il Regno Unito resterà, con l’Europa, una unione doganale temporanea che non potrà stipulare accordi di libero scambio con paesi terzi. Una minaccia che è già stata ventilata dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Del resto alcune conseguenze cominciano a vedersi: l’abbandono di industrie straniere, un calo di fiducia nella borsa di Londra. Ma gli inglesi non dimenticano di aver superato altre prove e la storia procede sempre per vie traverse.