LO SCANDALO VOLKSWAGEN FA TREMARE LA GERMANIA

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 3 Novembre 2015

Terremoto Volkswagen: in tutto il mondo undici milioni di auto diesel truccate nei rilevatori di emissioni di ossido di carbonio, quaranta volte superiori ai limiti consentiti, aggirando le procedure di controlli antidoping. Se ne sono accorti negli Stati Uniti, dove nel 2014 il colosso di Wolfsburg aveva venduto seicentomila vetture. Il gruppo (che comprende fra gli altri anche i marchi Audi, Skoda e Porsche) si apprestava a conquistare il primo posto superando la giapponese Toyota, ma lo scandalo rischia, almeno a breve termine, di fargli perdere il primato. Il danno economico immediato potrebbe superare i diciotto miliardi di dollari in multe, dopo aver accertato ventitré miliardi di perdite in borsa, oltre a una serie di azioni legali collettive promosse dai privati (al momento se ne contano una sessantina) per risarcimenti individuali.

Le ricadute dello scandalo sono così in primo luogo di natura materiale, con effetti a cascata sulle vendite, la messa in crisi di molti concessionari e inquietudini nel settore dell’indotto e della componentistica: soltanto in Italia la cifra d’affari ammonta a un miliardo e mezzo di euro. Se ne risentirà anche a livello occupazionale perché più di seicentomila sono i posti di lavoro che la Volkswagen assicura: per il momento nella fabbrica principale di Wolfsburg sono stati bloccati gli straordinari e le assunzioni. Sembrano esclusi licenziamenti, ma certo qualche preoccupazione corre fra i dipendenti: nella città 72mila persone su un totale di 122mila sono appese alle sorti dell’auto. Fra esse un paio di migliaia di lavoratori italiani, di cui parecchi abruzzesi, si chiedono come andrà a finire.

Probabilmente la crisi impiegherà qualche tempo a rientrare, ma prima o poi si risolverà, perché al salone dell’auto di Francoforte, per esempio, la VW ha presentato nuovi modelli al disopra di ogni sospetto, fra i quali la Tiguan a partire dal 2016, in versioni specifiche per i mercati americano e cinese dal 2017. La ripresa potrebbe venire da una politica di vetture ecologiche senza trucchi, dalle elettriche (che per il momento non decollano) alle ibride, alle quali si stanno aprendo buone prospettive.

Ma la vicenda ha anche conseguenze politiche. Prima di tutto perché “sporca” il tradizionale buon nome e la riconosciuta efficienza dell’industria tedesca: il recupero della fiducia non sarà facile anche a causa di una concorrenza che, senza plateali prese di posizione, cercherà di profittare dello scivolone della VW. Non basta che il vertice, nella persona dell’ex presidente Martin Winterkorn e di altri responsabili minori, sia stato rapidamente sostituito con la designazione di Matthias Mueller, sino a ieri a capo della Porsche. Sarà infatti necessario chiarire anche quanto la mano pubblica (il gruppo è in parte controllato dal Land della Bassa Sassonia e dai sindacati) fosse al corrente delle pratiche scorrette. E quanto lo fosse il governo tedesco: la cancelliera Angela Merkel afferma di non saperne niente, ma alcuni parlamentari dei Verdi sostengono che sin dall’estate Berlino fosse informata della piega che le cose stavano prendendo.

È comunque abbastanza paradossale che i proprietari delle macchine chiamate in causa sembrino abbastanza indifferenti al danno ambientale e temano soprattutto il “richiamo” (in Italia sarebbero 165mila) per l’adeguamento ai parametri. E tuttavia lo scossone Volkswagen può essere positivo, anche in vista dell’assemblea straordinaria di Parigi del prossimo dicembre, destinata a mettere a punto una politica globale dell’ambiente che in qualche modo risponda agli interessi di tutti e all’appello della tutela della terra contenuto nell’enciclica di papa Francesco Laudato si’ .

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