LA “RIVOLUZIONE” DEL DOPPIO COGNOME

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 1 Luglio 2022

Il 1° giugno 2022 è stata una data storica destinata a cambiare i rapporti uomo-donna dentro e fuori la famiglia e il diritto all’identità dei figli: è finito, infatti, l’automatismo di mettere ai neonati solo il cognome del padre. Regola che d’ora in poi vale per tutti i figli, sia quelli nati nel matrimonio che adottati. Quella che molti media hanno definito una “rivoluzione” si deve alla Corte costituzionale che il 27 aprile scorso ha dichiarato illegittima l’automatica assegnazione del cognome paterno. L’efficacia è scattata con la pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta ufficiale, avvenuta appunto il 1° giugno. L’ufficiale dell’anagrafe deve quindi assegnare il doppio cognome, del padre e della madre, o uno dei due, perfettamente alla pari, se così hanno deciso i genitori. E se non sono d’accordo, la questione finirà nelle mani del giudice. È “scomparso” dunque l’articolo 262 del codice civile rendeva obbligatorio scegliere comunque il cognome del padre. Queste le regole finché il Parlamento non interverrà con una legge, dettando eventualmente, altri criteri, come sottolineano le motivazioni della sentenza.

Ora tocca al Parlamento, andiamo avanti” è stata la sollecitazione della ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti. Sono diverse le proposte presentate al Senato e alla Camera. E sono soprattutto le parlamentari del Pd a spingere perché ora si acceleri sulla legge. Redatta da una giudice, Elisabetta Navarretta, la sentenza chiarisce le ragioni per le quali l’attribuzione automatica del cognome paterno, che era prevista dall’articolo 262 del Codice civile e da svariate altre norme, è in contrasto con i principi costituzionali e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quell’automatismo “si traduce nell’invisibilità della madre” ed è il segno di una diseguaglianza fra i genitori, che “si riverbera e si imprime sull’identità del figlio”, si legge nella sentenza. Il cognome “collega l’individuo alla formazione sociale che lo accoglie” e “si radica nella sua identità familiare”, perciò deve “rispecchiare e rispettare l’eguaglianza e la pari dignità dei genitori” mentre “la selezione della sola linea parentale paterna oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre”.

Lo stesso, eventuale, accordo fra i genitori per attribuire un solo cognome presuppone una regola che ripristini la parità, poiché senza eguaglianza, spiegano i giudici, mancano le condizioni per un autentico accordo. La Corte è consapevole che il suo intervento non può bastare e torna a chiedere quello del legislatore: è “impellente” soprattutto per “impedire che l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome”, ma anche per tutelare “l’interesse del figlio a non vedersi attribuito un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle”. I giudici indicano anche le possibili soluzioni alle due questioni aperte. L’ultimo nodo si potrebbe sciogliere rendendo la scelta del cognome attribuito al primo figlio vincolante anche per i suoi fratelli e sorelle. Quanto invece al primo problema, sarebbe opportuno – è il suggerimento della Corte – che il genitore titolare del doppio cognome ne scelga uno solo, sempre che i genitori non optino per l’attribuzione del doppio cognome di uno di loro.

Ora serve una legge

Alla luce di questa sentenza, l’intervento del Parlamento per fare una legge è fondamentale perché la possibilità di scelta da parte dei genitori porta con sé maggiore complessità. È possibile che i genitori non siano d’accordo sull’opportunità di attribuire il doppio cognome o che non riescano a sceglierne uno. Si potrebbe porre perfino il problema, nel caso scelgano il doppio cognome, di quale debba essere l’ordine.

Ma come funziona all’estero? In Francia, Inghilterra e Germania devono mettersi d’accordo i genitori, soluzione conforme al principio di parità ma con l’inconveniente di non realizzare appieno il diritto all’identità personale del figlio. In Spagna invece l’attribuzione del doppio cognome è obbligatoria. Per quanto riguarda l’ordine, la soluzione più diffusa (Francia, Belgio, Spagna) prevede che, senza accordo tra i genitori, si segua l’ordine alfabetico; in Lussemburgo la scelta dell’ordine avviene con sorteggio.

Alla storica sentenza della Consulta di fine aprile si è arrivati attraverso la vicenda di una coppia della Basilicata seguita dall’avvocato Domenico Pittella: “Siamo riusciti a ottenere dalla Corte di Appello di Potenza la rimessione alla Corte Costituzionale che ha regalato a tutto il paese una pronuncia storica – ha spiegato il legale – la coppia aveva due figli con il solo cognome materno e volevano dare all’ultimo nato il solo cognome materno per consentirgli di formare la sua identità in maniera omogenea a quella dei figli precedenti. Allo stato attuale non era possibile perché ancora esisteva nel nostro ordinamento una regola che risente del modello patriarcale della famiglia secondo la quale, se non c’era accordo fra i genitori, il cognome era automaticamente quello del padre. Una regola che rendeva il nostro Paese quasi isolato nel panorama europeo e che era stata anche sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che nel 2014 aveva rilevato il contrasto tra questa regola e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”.

Retaggio patriarcale o svilimento della figura paterna?

La sentenza ha suscitato un dibattito nel nostro Paese. Per Avvenire, il quotidiano della Cei, “sul piano ideale la sentenza appare del tutto allineata a uno stato di cose già prevalente e largamente condiviso nei fatti. Anche sotto il profilo teorico, a parte qualche stravagante e residuale sostenitore del maschilismo come baluardo delle tradizioni familiari, non c’è più nessuno che non riconosca la necessità di dare concretezza a valori come la reciprocità e la pari dignità di donna e uomo sia nella vita di coppia, sia nell’impegno educativo”.

È evidente che anche l’orientamento della Corte Costituzionale è cambiato nel tempo. Nel 1988 confermava la ragionevolezza della necessaria e automatica attribuzione del cognome paterno. Il motivo? “Superiore esigenza di garantire l’unità familiare”.

Oggi le sensibilità sono diverse. “Si tratta di una scelta – secondo Avvenire – che promuove il bene autentico della famiglia e conferma che nelle dinamiche ordinarie della vita familiare e, prima ancora, nella verità biologica e nella sfera morale, la cura e l’educazione dei figli devono svilupparsi su un piano di pari responsabilità, con compiti e funzioni che potranno differenziarsi, ma non possono mai risultare né prevaricanti l’uno sull’altro, né rigidi, né tantomeno subordinati. Sappiamo che troppo spesso, purtroppo, succede ancora il contrario, con un impegno asimmetrico che vede tante madri lasciate sole a combattere su troppi fronti – lavoro, figli, gestione domestica ordinaria – e altrettanti padri tuttora incapaci di assumere il minimo sindacale delle responsabilità coniugali e familiari. In questa prospettiva, la sentenza della Consulta, oltre che riconoscere una situazione assodata, potrebbe apparire anche una sorta di auspicio nella logica del riequilibrio”.

Cosa resta ai padri, già privati della patria potestà, se togli loro anche la possibilità di dare il cognome ai figli? Perché un uomo dovrebbe ancora contribuire alla riproduzione? Per la gioia di versare assegni di mantenimento?”, ha osservato, in maniera forse caustica e provocatoria, lo scrittore Camillo Langone. In attesa di una legge, il dibattito è aperto.

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