“LA MEDICINA È CURA DELL’UOMO, NON DELLA MALATTIA…”

Cosa c’è dietro la professione medica
By Gino Consorti
Pubblicato il 2 Maggio 2021

“Gli ospedali non si fanno con le tabelle di Excel, – afferma Paolo Nucci, stimato medico, accademico e scrittore che ha da poco mandato in libreria l’interessante volume Perché (non) fare il medico – restano sempre strutture umane dove il ruolo e l’esigenza del paziente devono essere davanti a tutti e tutto”

Fare o non fare il medico, questo è il dilemma… Per carità, nessuno vuol mancare di rispetto, tantomeno sostituirsi ad Amleto… Il riferimento è all’interessante libro del professor Paolo Nucci, Perché (non) fare il medico (Piemme, pp.138, euro 17,50) che in maniera autorevole accende i riflettori sulle varie fasi della professione medica cercando di fornire risposte ad alcune domande fondamentali.

Professore ordinario di oculistica dell’università Statale di Milano, si è specializzato in Oftalmologia nel 1988 per poi, l’anno successivo, completare una Fellowship in Oftalmologia Pediatrica e Strabismo presso la University of Chicago. Appena rientrato ha ricevuto l’incarico di responsabile del Servizio di Oftalmologia pediatrica e Strabismo dell’ospedale San Raffaele dove ha lavorato sino al 2000. Nel 2001 ha vinto il concorso come professore universitario. In seguito ha diretto l’unità dipartimentale di Oftalmologia pediatrica e Strabismo dell’ospedale universitario San Paolo. Nel 2010 è diventato direttore della clinica oculistica universitaria dell’ospedale San Giuseppe coronando il sogno di guidare un dipartimento di Oftalmologia. Nello stesso periodo ha presieduto il corso di laurea di Ortottica nell’università di Milano ed è stato presidente della Società italiana di Oftalmologia pediatrica. Attualmente è lecturer in diverse università internazionali e, come lui sottolinea, a tempo perso fa il divulgatore e lo scrittore.

Insomma, il nostro interlocutore ha tutte le carte in regola per fornire una sorta di “palla di vetro” a chi ha deciso di intraprendere la professione medica. Ma anche a chi si sta interrogando o ha deciso di scartarla. I suoi libri, le sue apprezzate ricerche, le sue tante attività divulgative e formative vanno in questa direzione. Indicare, cioè, la via per una revisione, complicata ma assolutamente necessaria, del nostro sistema sanitario e, soprattutto, porre l’attenzione sul ruolo del medico. Parliamo della dedizione al benessere del malato come ragione d’essere, senza mai rinunciare all’orientamento altruistico. Non si può, infatti, fare buona medicina se vengono infrante le regole etiche, non si può fare una buona medicina se non risponde ai veri bisogni umani, non si può fare buona medicina se si sceglie la via esclusiva della scienza.

In questo lungo tempo di pandemia, come non mai nel passato, abbiamo potuto percepire il ruolo della professione medica con le sue tante facce. Un costante rapporto tra etica, deontologia, sensibilità e rispetto della legge. Ecco, la strada da cui ripartire è quella di una medicina inclusiva, dove cioè convivano, senza forzature o fughe in avanti, umanità, scienza, etica e morale.

Di questo e altro parliamo con il professor Paolo Nucci, vera e propria autorità nel suo campo nonché stimato accademico e scrittore.

Perché professore ha scelto di ab-bracciare la professione medica?

Nella mia generazione c’erano poche cose eroiche come quella di fare il medico. Ad esempio hanno contribuito alcune figure televisive, per qualcuno fare l’avvocato significava fare Perry Mason per me invece diventare medico significava essere il dottor Kildare… Poi le letture importanti, La cittadella di Archibald Joseph Cronin, libri dove c’era sempre una figura eroica del medico condotto. E poi un libro molto bello degli anni 50, La storia di San Michele scritta da Axel Munthe, che ho trovato nella libreria di mio padre. Parla di un medico dei paesi del Nord che sceglie di vivere a Capri. Mi colpiva l’umanesimo che c’era dietro queste figure. In pratica, l’immagine che noi avevamo del medico era un qualcosa di eroico. Come può apparire eroica l’astronauta Samantha Cristoforetti oppure lo chef stellato Cracco.

Cosa l’ha spinta, invece, a pubblicare un libro certamente non tenero nei confronti di chi vuole avvicinarsi a questa professione?

Il messaggio che voglio trasmettere più o meno è questo: siate pronti a quello che c’è dietro questa professione, forse esiste un altro mondo al di là di quello della nostra immaginazione.

A chi si rivolge?

Ai giovani che hanno scelto o stanno per scegliere questa professione e anche alla mia generazione che non si è ancora riappacificata del tutto con il peso del nostro lavoro.

Cioè?

Il mio è una sorta di excursus della professione medica. All’inizio si percepisce uno stato di inadeguatezza, non ti senti pronto ad affrontare la cura di un paziente. Ai miei tempi nessuno si occupava di te, nessuno ti diceva come comportarti con il paziente e con la malattia. Anzi la malattia ai miei tempi era molto più importante del paziente. Quando ci si prende cura della malattia si pensa di aver fatto il 100%, invece non è così. Prima, infatti, devi curare l’uomo e poi la malattia. In questa fase, dunque, ti senti inadatto poi però pian piano la situazione migliora perché cominci ad avere consapevolezza del tuo ruolo, nella tua capacità di riuscire a dare risposte e a guarire finalmente.

A quel punto, dunque, tutto risolto…

Non direi… Da quel momento, infatti, vivi in una fase di onnipotenza. Ed è quello il pericolo peggiore perché inizi credere tanto in te stesso mostrando quella sicumera tipica del medico arrogante che pensa nella sua scienza ci sia tutto, che è capace di tutto. I più giovani diventano addirittura anche irriverenti nei confronti dei colleghi anziani. È una fase, però, che per fortuna dura poco. Quando arrivano le prime “bastonate” professionali ci si rende conto che non è tutto così semplice e che siamo tutti fallibili. Tutto ciò porta una responsabilità maggiore.

Ma in questa fase nessuno può essere d’aiuto?

Se si è fortunati si trova qualcuno. In genere sono i maestri che ti aiutano a uscirne fuori…

In mancanza di una guida, cosa si rischia?

Di entrare in una fase critica, cioè ti disamori della professione. Oltre a sentirti tradito dal paziente, nel caso si rivolga all’autorità giudiziaria per un tuo comportamento sbagliato, rischi di essere vittima di un esaurimento. Il medico, infatti, spesso si trova a essere gestore di una professione complessa che comprende anche l’aspetto burocratico. Io sono stato primario e posso confermarlo: c’è tanta burocrazia da smaltire… In quel caso, allora, accusi una sorta di esaurimento nervoso che porta a disamorarti della professione.

Il suo libro, dunque, è una sorta di avviso ai naviganti…

È bene che i giovani medici conoscano tutti gli aspetti di una professione affascinante ma nello stesso tempo molto impegnativa.

Scusi professore, ma alla fine in che modo si fa pace con il “brutto” della professione?

Attraverso la gratitudine dei pazienti che ti lascia dentro un sentimento molto forte. Un legame estremamente importante e gratificante. E anche attraverso la gratitudine dei tuoi allievi. Quando infatti crei una scuola e in giro senti parlare bene dei tuoi allievi, vedi la tua vanità nuovamente gratificata…

Mai come in questo tempo pandemico la professione medica è finita sotto la lente d’ingrandimento. Quali ritiene siano le certezze dalle quali ripartire e le cose, invece, da modificare oppure migliorare?

La prima certezza è che il nostro sistema sanitario si è rivelato, negli anni, lungimirante, siamo riusciti ad assicurare l’assistenza a tutti. Siamo arrivati trent’anni dopo l’Inghilterra, però per molti anni è stato efficiente. Oggi, però, ci siamo resi conto che non lo è più. Quindi la prima cosa da fare è mettere mano a una riforma. Un’altra cosa importante è il non fidarsi troppo dei pareri tecnici, e non mi riferisco solo a quelli dei medici, ma anche a quello degli economisti che vogliono fare sanità. Gli ospedali non si fanno con le tabelle di Excel…, restano sempre strutture umane dove il ruolo e l’esigenza del paziente devono essere davanti a tutti e tutto. Pensiamo, ad esempio, alle tante difficoltà che un anziano affronta per essere curato. Occorre una visione diversa, mettersi cioè veramente dalla parte del paziente che viene a chiederci aiuto. Noi dobbiamo imparare a guardare al fondo del problema. Un terzo elemento si riferisce al cambiamento che noi medici dobbiamo mettere in atto. La vanità, in questa pandemia, è stata la guida di una pessima comunicazione che in medicina, soprattutto nelle crisi, va appresa ed evitata. Non è infatti un qualcosa che puoi inventarti da un giorno all’altro, ci vuole un apprendistato, sia per comunicare con il paziente, sia per comunicare con la popolazione. Noi, purtroppo, non siamo stati in grado di fare nessuna delle due cose.

Il progresso della scienza, che non conosce pause, che ruolo disegnerà ai medici di domani?

Questa è una domanda bella e interessante perché mi permette di parlare dell’intelligenza artificiale. Noi stiamo an-dando verso un periodo in cui una macchina leggerà le nostre radiografie e, molto meglio di un medico, ci dirà che tipo di frattura abbiamo e qual è la cura da seguire. Probabilmente leggerà anche una retinografia svelando la malattia del paziente e forse inseriremo anche il nostro Dna dentro un computer per poi conoscere quale malattia ci affligge o ci affliggerà… In questa direzione, quindi, la figura del medico sembrerebbe obsoleta, superata. La medicina, però, è esattamente l’opposto. La medicina, che non dimentichiamolo mai è cura dell’uomo e non della malattia, prevede che ci sia sempre una mediazione tra l’enorme quantità di conoscenze che abbiamo e quello che poi viene trasferito al paziente. Il medico, in questo, non può diventare secondario, il rapporto umano è ciò che il paziente cerca sempre. Una parola di conforto, infatti, a volte è molto più curativa della conoscenza della malattia o del farmaco che s’intende adottare. Non credo quindi che il rapporto umano possa essere messo mai da parte. Le faccio un esempio. Nella fortunata serie di fantascienza, Star Trek, tanto per parlare a un pubblico giovanile, quello che ad esempio vinceva non era il vulcaniano e razionale Spock, che sapeva tutto e usava la ragione come fosse un computer. No, a vincere era il capitano Kirk, un eroe che mostrava sempre un lato umano.

Infatti e non solo in questo tempo contrassegnato dal Covid-19, l’aspetto umano fa la differenza. Dal suo osservatorio privilegiato quale situazione registra?

Dipende tutto dai maestri. Se hai avuto un buon mentore, una valida guida, una persona con dei valori da cui tu hai appreso, come diceva Ippocrate, quei valori rimarranno dentro di te. È come accade in una famiglia: se si trasferiscono determinati valori è molto difficile che i componenti si discostino da loro. Quelli che hanno avuto dei bravi maestri, dunque, saranno dei bravi medici.

Consiglierebbe questa professione a suo figlio?

Sì. Ho una figlia che fa l’ortodontista… Sulla professione medica nella nostra società, però, vorrei, fare una breve riflessione. La paura e la cecità di chi ci governa di fatto hanno lasciato indifesa questa professione. Come si protegge un soldato che va in guerra, come proteggiamo i magistrati che nel caso di un errore giudiziario non hanno nessun costo, così dovremmo proteggere i medici. Ovvia-mente non mi riferisco a evidenti colpe gravi ma alla quantità enorme di contenziosi che ci sono e che nel 90% dei casi sono non giustificati. Questo rappresenta un costo per lo Stato e da un punto di vista formale rappresenta anche una sorta di negazione del ruolo. Guardiamo ad esempio i giovani medici che abbiamo chiamato a fare le vaccinazioni. Anzi che abbiamo reclutato… Non appena hanno chiesto di avere una malleva per il loro ruolo di vaccinatori è stato partorito un decreto assolutamente insufficiente…

Posizione economica, status sociale, amore per la medicina, spirito missionario: ci dà le percentuali di ogni singola motivazione, ovviamente secondo il suo punto di vista, di chi oggi sceglie di diventare medico?

Sicuramente le prime due la fanno da padrone. Cioè lo status sociale e la possibilità di affermarsi economicamente e quindi essere autonomi in questa società. Lo dico a ragion veduta perché ogni tanto partecipo a seminari di formazione e di indirizzo organizzate dalle scuole. La domanda più frequente non è cosa si prova a essere medico, cosa si prova quando si salva una vita umana, eccetera, bensì come si fa a superare il test d’ingresso… Questa è la visione. Io non colgo più l’anelito di cura, di devozione, di dedizione a questo tipo di attività.

Formazione e aggiornamento del-le competenze: qual è il suo giudizio? Lo ritiene serio un torneo di bridge per acquisire crediti…?

Formazione e aggiornamento sono fondamentali, anche se non c’è nessuno più del medico sotto esame… Se io faccio una sciocchezza professionale il giorno dopo ne ha conoscenza tutta la città… Non solo, andrebbe anche oltre i confini provinciali e regionali. La mattina dopo un cittadino di Enna, ad esempio, saprebbe a conoscenza del mio comportamento. Il medico viene quotidianamente giudicato dai fatti e dal paziente. La salvezza per la formazione e l’aggiornamento è rappresentata dal team. Cioè lavorare in gruppo e non da soli.

Parliamo di un altro argomento scottante: la medicina difensiva…

La medicina difensiva ha due significati. Il primo riguarda l’aumento abnorme dei costi di una sanità che già assorbe tantissime risorse economiche. Io medico, per proteggermi, prescrivo al paziente più esami di quelli dovuti. Questo significa che i pazienti che hanno veramente bisogno di quegli esami trovano code infinite e i costi aumentano. Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che anche da noi potrà verificarsi ciò che sta già accadendo in America. Cioè il medico dice di non sentirsi a proprio agio con quella determinata patologia. Tradotto: si cerchi un altro medico… E in quel caso nessuno potrà obbligare il medico a farsi carico di una condizione che ha bisogno di una competenza che dice di non possedere. Il tutto con conseguenze pesantissime per i pazienti afflitti da patologie gravi… La medicina difensiva, dunque, è il vero problema del futuro ed è facilmente risolvibile.

In che modo?

Tutelare i medici, così come si fa con un soldato a cui si consegna un fucile e dal quale può partire inavvertitamente un colpo; così come si fa con un magistrato che commette un errore giudiziario e nessuno si sogna di chiamarlo in causa…

A cosa giova, diceva Seneca, il sapere scientifico, matematico, che ti insegna che cosa sia una linea retta se poi non sai cosa sia retto? Cioè cosa sia giusto nella vita? È sbagliato dire che in questo nostro tempo si evidenzia una certa superiorità della scienza sulla morale?

Credo che ogni epoca abbia vissuto questo dualismo. In realtà, però, il vivere quotidiano è comunque sempre una sorta di calmiere: scienza e aspetto etico devono andare insieme e andranno insieme. L’uomo deve sempre interrogarsi e non vivere solo di dogmi.

Come si conquista la fiducia del paziente?

Spiegando. Se riesci a farti capire il paziente non può che apprezzare. Se invece sei criptico il paziente dubita di avere dinanzi una persona competente.

La sanità oggi è un ambiente fatto su misura dell’uomo? Il paziente viene guardato e accudito come soggetto oppure è visto solo come oggetto da studiare?

In questa direzione oggi c’è molta più coscienza. In passato, come dicevo precedentemente, la malattia era molto più importante del paziente. Oggi, invece, sta cambiando in meglio perché le relazioni, il parlare tra persone è molto importante e quindi aiuta a migliorarsi. La categoria dei medici, pur con gli errori e le tante fragilità, la vedo meglio del passato.

Lei che tipo di rapporto instaura con i pazienti?

La mia professione mi porta a confrontarmi con tantissimi bambini, quindi non può non entrare in campo una tenerezza enorme verso questi piccoli pazienti. Quando un genitore ti affida la cosa più importante che ha vuol dire che hai raggiunto un grandissimo livello di fiducia. È la cosa che più mi entusiasma.

Nel suo ruolo di professore universitario, invece, qual è la cosa che più raccomanda ai suoi studenti?

Di scegliersi un maestro giusto.

A chi consiglierebbe la professione medica?

A tutti, sarebbe terapeutico anche per molti politici…

È favorevole al numero chiuso nell’accesso alla professione medica?

Parzialmente. Non ho mai visto un campione del pallone nascere nelle scuole calcio del Ticino, mentre ho visto Maradona diventare un talento sui campetti impolverati argentini… Il talento viene fuori comunque…

Che idea si è fatta della pandemia?

Errori ce ne sono stati, alcuni giustificabili, altri no. La priorità quale era? Io dico rintracciare i pazienti… Si potevano allora utilizzare i medici di famiglia. Se ognuno dei 45 mila medici di famiglia avesse fatto 300 tamponi si sarebbero potuti testare 13 milioni di persone. Inoltre i medici di famiglia, che sono capillarmente presenti sul territorio, perché non possono essere impiegati nelle vaccinazioni? Perché dobbiamo ricorrere ai militari, agli studenti, agli specializzandi, ai farmacisti? Purtroppo c’è stata tanta approssimazione. Ora però l’importante è vaccinare tutti e al più presto. Non ci sono alternative.

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