LA GUERRA DEL GRANO

Uno degli effetti del conflitto in Ucraina
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 1 Giugno 2022

Gravi problemi sulle esportazioni, sulla semina e la produzione a venire, dato che sono devastati tutti i porti dai quali far partire i preziosi carichi di frumento. Altri 263 milioni di persone rischiano di precipitare nella povertà estrema

Una delle conseguenze della guerra in Ucraina è la crisi alimentare perché sono coinvolti due Paesi che sono potenze mondiali nel settore agricolo. Quindi, non siamo di fronte a una recessione “regionale”, ma a un fenomeno globale, non tanto per il coinvolgimento di altre nazioni, ma – per quel che ci riguarda in questa sede – perché gran parte della produzione di questi due Paesi è destinata all’esportazione. Perciò, vi sono nazioni che dovranno giocoforza rinunciare a quote consistenti di prodotti agricoli. Un fenomeno che produce innanzitutto fame e aumento dei prezzi. Nell’ultimo triennio, Russia e Ucraina hanno rappresentato il 30 e il 20 per cento delle esportazioni mondiali rispettivamente di grano e mais (oltre a un bel pezzo di orzo e olio di semi di girasole). Ecco perché – secondo la Ong Oxfam (confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà) – questa crisi, unita quella post-Covid, farà precipitare nella povertà estrema altri 263 milioni di persone, portando il totale a fine anno a 830 milioni, il 10,5 per cento degli 8 miliardi di abitanti del pianeta.

Ma qual è la particolarità di questo pezzetto di globo in cui da mesi piovono solo bombe? L’Ucraina è definita il “granaio d’Europa” perché è prima per terreni seminativi nelle sue immense pianure ed è terza al mondo per superficie di suolo nero (25 per cento del volume mondiale). Un terreno particolarmente ricco di carbonio organico e, quindi, molto fertile. Ventotto milioni di ettari intrisi di humus, neri come la pece, che secondo alcuni studi potrebbe dar da mangiare a circa 300 milioni di persone (per quanto ci riguarda, l’Italia produce ogni anno intorno agli otto milioni di tonnellate di grano, contro i 26 dell’Ucraina; l’area maggiore in termini di produzione di grano è la provincia di Foggia, nota come il Granaio d’Italia). L’Ucraina da sola rappresenta rispettivamente il 12 e il 20 per cento è per cento delle esportazioni mondiali di grano e mais. Non solo, prima della guerra, Kiev contribuiva da sola alla metà della produzione mondiale di olio di semi di girasole: assieme a Mosca supera l’80 per cento. Il problema è che la guerra avrà ripercussioni non solo sul raccolto di quest’anno, ma anche sulle esportazioni, sulla semina e la produzione a venire, dato che sono devastati tutti i porti dai quali far partire i preziosi carichi di frumento. Attualmente si stima che la semina diminuirà del 20-30 per cento rispetto all’anno scorso. Ciò determinerà una qualità più bassa della semina e una diminuzione della resa per ettaro. La scarsità dei prodotti manterrà i prezzi alti anche per i prossimi tre-cinque anni. Con conseguenze terribili per i Paesi più poveri, che difficilmente saranno in grado di rendersi maggiormente autonomi perché mancano i fertilizzanti e i costi dell’energia sono più alti di sempre.

Mentre chi sta sostanzialmente bene si preoccupa se dovrà rinunciare a uno-due gradi di temperatura per contenere i consumi, la Fao avverte che ci sono almeno 26 Paesi (e decine di milioni di persone) che non sapranno cosa mangiare. La stessa Fao ha richiamato l’attenzione sul fatto che i prezzi alimentari mondiali hanno raggiunto i “livelli più alti di sempre”. Il sistema agricolo e l’alimentazione nel mondo non sono mai stati così in pericolo. In Medio Oriente e in alcuni Paesi del Nord Africa, denuncia l’Unicef, ci sono aree dove si arriva a importare fino al 90 per cento del cibo che si consuma, e la maggioranza dei bambini soffre di malnutrizione. Situa-zione che adesso rischia di precipitare nella carestia a causa della combinazione degli effetti della guerra, comprese le sanzioni nei confronti di Russia e Bielorussia, e le ritorsioni nei confronti delle sanzioni. “Prima degli aumenti dei prezzi alimentari dell’ultimo anno e mezzo – ha commentato Jeffrey Sachs, economista della Columbia University e presidente del gruppo di lavoro sullo sviluppo sostenibile dell’Onu – circa 3 miliardi di persone erano povere al punto di non avere un’alimentazione sana. Con la guerra il numero crescerà probabilmente di una cifra compresa tra i 500 milioni e il miliardo. Metà della popolazione terrestre è in difficoltà anche gravissime. Togliere dal mercato un terzo delle forniture di grano, tale è il contributo di Russia e Ucraina, è una condizione che non può durare”. Per comprendere quanto siano interdipendenti gli Stati, basterebbe ricordare che la guerra in Ucraina sta avendo ripercussioni pesantissime per lo Yemen dove, dopo 7 anni di guerra civile, il conflitto europeo ha aggravato ulteriormente la situazione, mettendo in crisi le già ridotte importazioni di grano e olio da cucina. Fino ad oggi infatti lo Yemen (30 milioni di abitanti) importava circa il 42 per cento del grano direttamente dall’Ucraina. La conseguenza immediata è il drammatico aumento dei prezzi, a cui una popolazione senza lavoro e altri mezzi di sostentamento, non può di certo far fronte. Solo nella prima settimana dallo scoppio del conflitto in Ucraina, nella capitale Sana’a il prezzo del pane è aumentato di oltre un terzo.

Ai problemi del conflitto, la crisi alimentare aggiunge quelli legati ai cambiamenti climatici. La Coldiretti ha lanciato l’allarme per la raccolta di riso: quello italiano è di primaria importanza, perché costituisce oltre la metà dell’intera produzione europea. Ma il riso si coltiva “allagando” i campi, pratica difficile adesso con una siccità che affligge da mesi soprattutto il Nord Italia. Per mancanza di acqua e per via dei costi dell’energia, le semine potrebbero essere tagliate di oltre 3.000 ettari. I danni maggiori del cambiamento climatico in termini di alluvioni, ondate di calore, siccità, li pagano i poveri anche per un fattore legato alla demografia. Sono infatti quelle aree a far registrare una crescita esponenziale della popolazione: nel 1980 l’Africa aveva 476 milioni di abitanti, nel 2020 un miliardo e 340 milioni. Come si vede, siamo sempre più interdipendenti, per mettere in crisi un macchinario complesso basta che si rompa un ingranaggio, anche il più piccolo.

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