VATTI A FIDARE DEGLI SCIENZIATI…
“Il pollo di Marconi”, il saggio pubblicato da Vito Tartamella docente universitario e inviato internazionale, raccoglie gli scherzi fatti dagli scienziati negli ultimi 150 anni. Fra i tanti protagonisti anche cinque premi Nobel…
Vatti a fidare degli scienziati… Rigorosi, imperturbabili, mai sopra le righe, di poche parole, stili quasi asettici. Macchè, è arrivato il tempo di revisionare, se mai ce ne fosse bisogno, anche questa figura che per secoli è stata vista con un occhio rispettoso e un altro sospettoso… La scienza, come ci hanno insegnato, presuppone una libertà completa che, sfogliando l’interessante e godibile libro di Vito Tartamella, sembra contempli anche quella di produrre scherzi in serie… Lo scritto in questione, infatti, Il pollo di Marconi e altri 110 scherzi scientifici (edizioni Dedalo, pp.288, euro 18,00), raccoglie gli scherzi fatti dagli scienziati negli ultimi 150 anni. E tra i tanti protagonisti, udite udite, compaiono anche cinque premi Nobel, oltre a tanti altri personaggi illustri come ad esempio Benjamin Franklin, Thomas Edison e Nikola Tesla. Un campionario di assoluto rispetto che comprende anche riviste prestigiose ed enti di ricerca. Insomma, animi gaudenti e gogliardici anche nei laboratori tra microscopi, telescopi e provette. D’altra parte anche “loro” sono fatti di carne e ossa…
Ecco, allora, che la curiosità si fa largo, è il momento di fare una chiacchierata con l’autore che, da decenni, si dedica al giornalismo scientifico. Filosofo, redattore di Focus, il mensile di scienza più venduto d’Europa, inviato internazionale, docente universitario, collaboratore di varie riviste, conferenziere. Un professionista assai apprezzato che attraverso il suo blog, seguito nel mondo, tratta anche gli aspetti sociali, linguistici, psicologici e storici delle parolacce. In pratica studia il turpiloquio.
Come nasce, professor Tartamella, Il pollo di Marconi?
L’idea mi è venuta nel 2014, quando avevo scoperto uno scherzo clamoroso, durato quasi 30 anni. Aveva come protagonista un fisico dal nome inquietante: Stronzo Bestiale (ci scusiamo con i lettori ma la ricerca era firmata così…, ndr). Era indicato come il coautore di due serissime ricerche di fisica pubblicate su riviste specializzate, ma era stato inventato di sana pianta (non aggiungo altri dettagli per non spoilerare). Quando sul mio blog parolacce.org ho svelato chi l’aveva creato e perché, la notizia è rimbalzata in tutto il mondo. È stata citata da Science, Scientific American, la Bbc, il Financial Times e molte altre testate prestigiose. Gli scherzi degli scienziati sollevano interesse e curiosità: decine di lettori di tutto il mondo mi hanno scritto lettere entusiaste per segnalare altri scherzi nella letteratura scientifica. D’altronde non poteva essere che così: uno scienziato che scherza, ovvero, dice falsità per gioco, fa notizia perché infrange – anche se solo per un momento – le regole della sua professione. Uno scienziato deve fare affermazioni vere, comprovate attraverso esperimenti riproducibili: se uno scienziato nell’esercizio delle sue funzioni (ovvero, su una rivista scientifica o sul sito ufficiale di un ente di ricerca), scrive invece che esistono i draghi o che l’inferno è su Mercurio, fa una scelta contro corrente, insolita. E anche azzardata, perché rischia di compromettere la propria credibilità e autorevolezza. Così, durante l’ultimo lockdown, ho deciso di impiegare il mio tempo per verificare se riuscissi a trovare un numero di aneddoti sufficiente a ricavarne un libro. È stata una ricerca molto difficile: nella letteratura scientifica non ho trovato un libro o uno studio che raccogliesse gli scherzi degli scienziati, così ho dovuto ricostruire le tracce studiando le note bibliografiche di Wikipedia, gli archivi dei giornali scientifici, i forum dei ricercatori su Internet. Così è nato il primo libro che raccoglie 110 scherzi (più uno, quello che dà il titolo al libro) degli scienziati: probabilmente non sono tutti, ma è una buona rappresentanza, poiché coprono un arco temporale che va dalla fine del 1700 fino al 2021, in tutto il mondo occidentale.
È vero che era tradizione nelle enciclopedie inserire una voce falsa come stratagemma antiplagio?
Sì, viene detta Mountweazel perché deriva dalla voce dedicata dalla New Columbia Encyclopedia a Lillian Virginia Mountweazel, una designer di fontane diventata fotografa e morta in un’esplosione nel 1973. Era un personaggio totalmente inventato. Le enciclopedie, in passato, inserivano infatti una voce falsa come stratagemma anti-plagio: chi avesse riprodotto quella voce avrebbe mostrato inequivocabilmente di aver copiato. Non è quindi uno scherzo ma una trappola, un antifurto intellettuale. È uno scherzo, invece, la voce che un’enciclopedia medica tedesca, la Pschyrembel, ha dedicato allo Steinlaus, il pidocchio di pietra (Petrophaga lorioti). È un acaro lungo 20-24 mm ed è chiamato così perché si nutre di pietra (ne mangia anche 28 kg al giorno) ed è pertanto utilizzato nel trattamento dei calcoli renali e vescicali. La voce fu inserita nell’edizione del 1983 ed era uno scherzo: la sua immagine, molto popolare in Germania, era tratta infatti da un filmato televisivo del comico tedesco Loriot (Vicco von Bülow) che aveva fatto una parodia dei documentari sugli animali. Così dopo due edizioni fu cancellata. Ma la decisione non piacque: molti lettori protestarono, tanto che nel 1997 la voce fu reintrodotta, e persino ampliata: sono stati inclusi gli “ultimi risultati” che collegano la scomparsa temporanea dei pidocchi di pietra con la caduta del muro di Berlino come fonte di cibo.
Nella sua ricerca sugli scherzi prevalgono quelli nel campo della fisica. C’è un motivo?
Nella mia raccolta, emerge che la maggior parte (il 16,2% degli scherzi, 1 su 6), vedono un fisico come autore. Da qui ad affermare che i fisici siano gli scienziati più burloni ce ne passa: il campionario di scherzi che ho raccolto copre un arco di oltre 2 secoli. Per quanto sia un campionario cospicuo, credo tuttavia che me ne siano sfuggiti molti. Le altre due categorie più rappresentate sono gli ingegneri (13,5%) e i medici (12,6%): credo che non sia un caso che le scienze più complesse abbiano ispirato più burle. Perché rappresentano un’evasione, un alleggerimento da un impegno di ricerca molto gravoso. Ma la mia è soltanto un’ipotesi.
Cosa rivelano gli scherzi degli scienziati? Cosa li spinge a mettere a rischio la loro credibilità?
Gli scherzi che hanno fatto sono una finestra straordinaria sulla loro biografia, il loro carattere. Ad esempio Nikola Tesla, quando nel 1898 presentò al Madison Square Garden la prima barca telecomandata, fece credere alle persone che fosse dotata di intelligenza, svelando solo alla fine che era uno scherzo: ma la sua spettacolare beffa si ritorse contro di lui, perché i giornali dell’epoca diedero rilievo più alla sua performance che all’invenzione in quanto tale. I motivi che spingono gli scienziati a scherzare sono molti: non solo la ricerca di evasione, ma anche, talvolta, il desiderio di divertirsi alle spalle di chi non conosce una nuova tecnologia, come nel caso di Tesla. Del resto, come ricorda la terza legge di Arthur Clarke Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. Gli scienziati hanno la fortuna straordinaria di vedere in anteprima come sarà il futuro, perché con le loro invenzioni a volte aprono nuove possibilità all’uomo.
Nel libro gli scherzi sono classificati in tre diverse tipologie…
La classificazione è dell’attivista statunitense Abbie Hoffman, che suddivideva gli scherzi in neutrali, satirici e vendicativi. Gli scherzi neutrali sono azioni teatrali inaspettate, che mettono in difficoltà o in ridicolo un’altra persona. Rientrano in questa categoria quelli di Fermi, di Tesla e di Marconi. Gli scherzi satirici sono quelli che mettono a nudo i limiti, le paure della vittima. Gli scherzi satirici possono essere di tipo pedagogico, ovvero evocano luoghi comuni, pregiudizi o paure allo scopo di smentirli: ad esempio, la rivista Nature ha pubblicato uno studio divertentissimo sul ritorno dei draghi, il Mit (Massachusetts Institute of Technology) ha annunciato la clonazione di un mammut lanoso. E una società americana ha annunciato il lancio di un mappamondo per terrapiattisti (ovviamente piatto). Oppure possono essere di tipo parodistico: usano lo stile e il linguaggio della scienza per dire cose assurde, per esempio che il riscaldamento globale è causato dalla diminuzione delle pecore in Nuova Zelanda (il loro manto bianco riflette i raggi solari: meno pecore, meno raggi riflessi, quindi temperature più alte). Altri infine sono scherzi provocatori: mettono in primo piano indizi così evidenti di assurdità che possono cascarci solo gli allocchi. Ad esempio, la rivista Limnology and oceanography ha pubblicato uno studio che stima la densità di mostri nel lago di Loch Ness.
Ma ci sono anche gli scherzi vendicativi: quelli fatti per mettere in ridicolo pregiudizi diffusi o di smascherare le riviste scientifiche poco serie. Come fece nel 1996 il fisico Alan Sokal con Social text, la rivista del postmodernismo, una corrente di pensiero che critica ogni disciplina considerandola figlia dei poteri economici e politici. Sokal le inviò un articolo del tutto insensato, che dipingeva la forza di gravità come una “finzione capitalista”. La rivista tuttavia lo pubblicò: era la dimostrazione, commentò Sokal, che quella rivista neppure leggeva con attenzione quanto pubblicava, abbagliata dai paroloni di un gergo fumoso. Questa beffa è poi diventata un metodo, un test-trabocchetto usato da diversi scienziati per smascherare le riviste predatorie, cioè quelle che pubblicano qualunque cosa purché a pagamento.
Nell’epoca delle fake news è cambiato qualcosa?
Nei Paesi del Nord Europa, che pure hanno una lunga tradizione nei pesci d’aprile, si è aperto un dibattito: ha ancora senso pubblicare scherzi che rischiano di essere scambiati per fatti veri, andando a ingrossare il fiume di bufale che ci inonda ogni giorno? Gli scherzi rischiano di aumentare la confusione anche in campo scientifico? Gli interrogativi sono condivisibili. Il mio libro nasce anche per fare chiarezza: per distinguere, cioè, le bufale dette per scherzo (cioè per gioco) da quelle dette in malafede, cioè per diventare più ricchi o più famosi.
Secondo Richard Branson, il fondatore di Virgin (protagonista di scherzi straordinari raccontati nel libro) “viviamo in un’epoca impossibile da parodiare, nessuno scherzo potrebbe essere più ridicolo di quanto accade per davvero oggi”. Io sono più possibilista: credo che sarebbe un peccato censurare la vena creativa e spiritosa degli scienziati. Il rimedio c’è, come hanno fatto i più prestigiosi enti di ricerca (Nasa, Esa, Cern, FermiLab) e riviste (Science, Nature): basta contrassegnare chiaramente gli scherzi come tali. Quando il Cern pubblica un articolo scherzoso, scrive in modo evidente (alla fine) che si tratta di un pesce d’aprile.
La pandemia, invece, come ha influito?
Ha innescato un’infodemia, ossia un fiume di notizie incontrollate, spingendo gli scienziati a mettere da parte gli scherzi. I pesci d’aprile del 2021, e ancor più quelli del 2022 (con l’aggiunta della guerra in Ucraina) sono stati pochissimi. Trovo che sia un peccato: già viviamo in un’epoca cupa. Cancellare gli scherzi la renderebbe ancora più cupa.
Ma le beffe scientifiche cosa hanno di diverso dalle altre?
Usano il metodo e il linguaggio della scienza: un articolo burlesco pubblicato su una rivista scientifica o sul sito ufficiale di un ente di ricerca deve avere almeno l’apparenza di uno studio serio, altrimenti non ci cascherebbe nessuno. È questo che rende gli scherzi degli scienziati un genere a sé stante: ci fanno immergere nel loro mondo anche quando ci prendono in giro. E a mio parere possono aprire nuove prospettive ai comici: se si eccettua l’imitazione irresistibile di Maurizio Crozza nei panni di Antonino Zichichi, la scienza e la tecnologia sono poco frequentate dai comici, ed è un peccato. Gli oltre 100 episodi raccolti in questo libro dimostrano che anche la fisica, la biologia, l’informatica e tutte le altre discipline possono offrire ampi spunti per l’umorismo e la fantasia.
Ci racconta lo scherzo di Guglielmo Marconi che dà il titolo al libro?
Guglielmo Marconi, inventore del telegrafo senza fili e premio Nobel per la fisica nel 1909, aveva iniziato fin da giovane a fare esperimenti con l’elettricità a casa propria, la Villa Griffone vicino a Sasso Marconi (Bologna). Al punto che, a soli 20 anni, era diventato celebre fra i contadini della zona, che vedevano bagliori violacei uscire dalla finestra del suo laboratorio al secondo piano dove testava i suoi apparecchi accompagnato dal fragore delle scintille.
Un giorno, fece prendere uno spavento clamoroso a un’inserviente che lavorava nella sua villa, Clara Corsini. La donna aveva lasciato in cucina un pollo spennato. Quando la donna uscì per riempire un secchio d’acqua, il giovane Marconi entrò in cucina e collegò dei fili elettrici alle zampe del pollo. I cavi erano collegati a un rocchetto a induzione, un trasformatore (collegato a una batteria) capace di generare impulsi ad alta tensione. Poi Marconi si nascose nel corridoio e attese che Clara tornasse in cucina. Quando la donna si avvicinò al tavolo per prendere il pollo e metterlo nella casseruola, Marconi accese il contatto e all’improvviso il corpo del pollo si mise a saltare sul tavolo come se fosse vivo, muovendo i muscoli delle zampe. Clara lanciò un urlo, piantò tutto e fuggì all’aperto gridando che il pollo era resuscitato. Marconi la inseguì per convincerla a rientrare in cucina: “È solo uno scherzo, il pollo è morto, non preoccuparti!”. Ma la donna non ne volle più sapere: rimase terrorizzata, oramai convinta che Marconi fosse “uno stregone”.
Enrico Fermi, invece, si divertiva con le bombe di sodio…
Padre dell’energia nucleare, vincitore del Nobel per la fisica nel 1938, aveva uno spiccato spirito goliardico, come rivela la sua biografia giovanile. Quando studiava fisica alla Normale di Pisa, insieme all’amico Franco Rasetti fondò la “Società Antiprossimo”: il nome è tutto un programma. Infatti il suo scopo era dar fastidio alla gente con scherzi e dispetti di ogni genere. I due si divertivano, ad esempio, a chiudere le giacche degli sconosciuti con un lucchetto infilato nelle asole. Oppure a lanciare polvere di sodio negli orinatoi pubblici, per spaventare i frequentatori: il sodio, infatti, esplodeva a contatto con l’acqua. Uno scherzo da provetti chimici. E non era l’unico: una volta prepararono una bomba puzzolente e la fecero esplodere in una classe durante una lezione, rischiando di farsi espellere…